Ricerche da Nobel

di Andrea Mallamo

Elena Bossi, professoressa e responsabile del laboratorio di Fisiologia cellulare e molecolare all’Università dell’Insubria, spiega come, partendo dalle ricerche dei due studiosi premiati nel 2021 per il servizio reso all’umanità nella Medicina, il suo team abbia sviluppato approfondimenti per ipotizzare un bersaglio per possibili nuovi farmaci

 

di Elena Bossi

 

La nostra capacità di percepire il calore, il freddo, il dolore e le sensazioni tattili è essenziale per la sopravvivenza e sostiene la nostra interazione con il mondo che ci circonda. Nella nostra vita quotidiana diamo per scontate queste sensazioni, ma come vengono avviati gli impulsi nervosi? In modo che la temperatura e la pressione possono essere percepite dal nostro cervello? Quando ciò avviene? 

 

David Julius e Ardem Patapoutian

A queste domande i vincitori del Premio Nobel della Medicina 2021, assegnato a David Julius e Ardem Patapoutian, hanno dato una risposta. Julius ha utilizzato la capsaicina, il “principio attivo” del peperoncino, per identificare nelle terminazioni nervose un sensore (Trp, Transient receptor potential) che risponde al calore, ma che è anche responsabile della percezione del dolore. Ugualmente, Patapoutian ha utilizzato cellule sensibili alla pressione per scoprire una nuova classe di sensori (Piezo) che rispondono a stimoli meccanici nella pelle e negli organi interni. Come spesso accade, una volta evidenziata l’importanza della scoperta del ruolo di queste proteine dalla comunità scientifica, le ricerche dei due Nobel, sono state la base di diversi approfondimenti nei contesti fisiologici e patologici da parte di numerosi laboratori nel mondo, compresi i quelli di Fisiologia umana e di Fisiologia cellulare e molecolare (Lfcm) dell’Università dell’Insubria. Diversi i principi attivi accendono i recettori mimando gli effetti del caldo e del freddo: il peperoncino dà un effetto hot, di calore, il mentolo invece dà una sensazione cold, di freddo. Quando queste sensazioni diventano particolarmente intense, vengono percepite come dolorose, indipendentemente dal recettore attivato.

 

Il dolore, da salvavita a invalidante

Il Lfcm, In collaborazione con altri gruppi di ricerca del Dbsv (professor Michele Surace Ortopedia, professoressa Paola Campomenosi -Genetica molecolare-, professoressa Annalisa Grimaldi -Biologia degli Invertebrati), ha evidenziato alcuni dei responsabili del dolore cronico. Se la percezione del dolore ha una funzione salvavita, quando si cronicizza diventa però una condizione patologica, molto invalidante. Studiare questi recettori ha quindi permesso di ipotizzare un bersaglio per possibili nuovi farmaci per il dolore cronico.

 

Lavoro di squadra

Allo studio, supportato dalla Fondazione Comunitaria del Varesotto, hanno partecipato i ricercatori del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita: Stefania Fozzato, Nicolò Baranzini, Elena Bossi, Raffaella Cinquetti, Annalisa Grimaldi, Paola Campomenosi e Michele Francesco Surace. I risultati sono stati pubblicati di recente sull’European Journal of Physiology e nella recente tesi di dottorato di Stefania Fozzato intitolata Investigating novel targets for next generation chronic pain therapies.

In foto: La professoressa Elena Bossi in laboratorio

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