Lavoro in rosa, luci e ombre

di Milani

Dopo il successo della “puntata zero” sul turismo religioso, Varese Inchieste punta la lente d’ingrandimento sul rapporto tra mondo dell’occupazione e universo femminile. Ecco i dati salienti della trasmissione del 2 marzo in onda, come ogni primo venerdì del mese, subito dopo le rubriche del tg di Rete55 (ore 20.10, canale 16)

di Chiara Milani

E’ una fotografia tra luci e ombre, quella del lavoro in rosa. A proiettarle sono i dati che abbiamo raccolto. Partendo come sempre dal mondo per arrivare in Italia e puntare la nostra lente d’ingrandimento sul Varesotto.

Occupazione

Innanzitutto, una buona notizia. A livello europeo, il gap di genere nel tasso di occupazione è in diminuzione dal 1993. Un quarto di secolo fa, la differenza sfiorava i 20 punti percentuali. Oggi (dati 2016) è pressoché dimezzato (Eurostat).

In Italia però il divario rimane ampio: il tasso di occupazione maschile è pari a due terzi (sfiora il 67%), mentre quello femminile è inferiore alla metà (rimane intorno al 48%). Migliore la situazione in Lombardia, con un dato per le donne pari al 57.2% (Istat e Polis Lombardia). A Varese nel 2016 era del 56.1%.

Il tasso di occupazione femminile nazionale è comunque in crescita significativa, ma ben lontano dalla media dei 28 Paesi europei, che supera il 61%. Il che posiziona l’Italia al penultimo posto in Europa per peso delle donne nel mercato del lavoro (Eurostat).

Disoccupazione

Idem per il tasso di disoccupazione femminile, che nel Belpaese si attesta intorno al 12%, anche se in diminuzione (11% a Varese). Mentre quello maschile è di poco sopra il 10% (Eurostat).

Secondo l’Istat, il tasso di mancata partecipazione femminile, che segnala disinteresse (o scoraggiamento) nei confronti del mercato del lavoro, nel 2016 è 25.8% su scala nazionale, 15.5% in Lombardia e 19.9% a Varese e provincia.

Istruzione

Il livello di istruzione femminile in Lombardia è in media più elevato di quello maschile e in crescita: nel 2015, il 21,5% delle donne è laureata (contro il 17% maschile), rispetto al 16,5% del 2008. E oltre un quarto (il 26,6%) delle donne occupate ha almeno la laurea, contro il 18,5% degli uomini occupati, ossia 1 su 5 (Lombardia Speciale).

Imprenditoria

Il numero delle imprese a guida femminile è in lieve progressione a livello nazionale (soprattutto per la componente a guida straniera), ma le donne collocate ai vertici aziendali sono ancora solo poco più di 1 ogni 5 (il 21.8%, secondo l’Istat).

Migliore il risultato lombardo con un’importante crescita dell’imprenditoria femminile (+4.3% nel periodo 2008-2015 rispetto ad un declino del 3.3% di quella maschile; a Milano + 8,3% rispetto +1,3 maschile) anche se le donne sono ancora solo un quinto degli imprenditori (Lombardia Speciale).

Managerialità

La Lombardia detiene il primato del numero dei manager italiani e dimostra una grande apertura alla parità di genere, concentrando sul suo territorio anche il maggior numero di dirigenti donne nel settore privato. Secondo un’indagine Manageritalia, nelle imprese lombarde lavorano il 46,7 % (poco meno della metà) delle donne manager italiane e il 31,2 per cento degli uomini (neanche un terzo). Un dirigente italiano su tre lavora nel capoluogo lombardo (32,2% del totale): il 37,7% delle donne e il 31,2 per cento degli uomini.

Dal 2011 al 2015 in Lombardia si è assistito all’incremento complessivo più elevato delle posizioni apicali, con un +5,2% (+6,9% a Milano), contro una media nazionale dell’1,2%. Con un calo delle presenze maschili dell’1,4% e un aumento di quelle femminili del 17,5%, di cui il 13% ha meno di 40 anni (contro il 6% degli uomini, ovvero meno della metà).

Settori

A livello di settori economici, quelli più “rosa” per i dirigenti sono i servizi: le donne sono il 44% nella sanità e il 39 nell’istruzione, parlando del solo settore privato. Seguono le attività professionali scientifiche e tecniche (22%) e i servizi alle imprese (noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese: 19%). Agli ultimi posti i settori manifatturiero (12%) e delle costruzioni, dove le donne pesano solo il 7,7%.

Artigianato

In uno studio di Confartigianato Lombardia si legge però: “In provincia di Varese è il settore delle costruzioni a coinvolgere, tanto, le donne: l’incidenza delle imprese artigiane in rosa in questo settore è del 2,1%. Siamo al secondo posto dopo Como con il 2,4%. Subito dopo arriva il manifatturiero: in questo settore, Varese si colloca al quinto posto con un’incidenza delle imprese artigiane gestite da donne sul totale delle imprese lombarde del 15,7% (ma è prima nei servizi alle imprese con il 17,6%). Dati incoraggianti e confermati dall’Osservatorio per l’imprenditoria femminile di Unioncamere: su un totale di 97mila imprese femminili italiane registrate nella manifattura, ben 57mila sono artigiane”.

Ma non è finita qui. Sempre secondo Confartigianato Lombardia, infatti, a Varese nel 2016 le imprese artigiane gestite da donne sono 3.452, quelle gestite da imprenditrici under 35 sono 519 e quelle gestite da straniere 417. Dati che ci portano ad occupare la quarta posizione dopo Milano (10.794 imprese gestite da donne), Brescia (5.257) e Bergamo (4.712).

In Lombardia la donna si pone alla testa di ben 37.907 imprese. Per quanto riguarda il peso dell’occupazione femminile nelle province lombarde, è ancora Varese ad eccellere: terza posizione con il 43,4%, performance addirittura superiore alla media lombarda e subito dopo Milano con il 45,1% e Pavia con il 43,9%.

Naturalmente, il contesto sociale non può essere dimenticato.

Parliamo di poco più 1 posto all’asilo nido ogni 5 bambini. Anziché oltre 1 su 3, come vorrebbe l’obiettivo prefissato dall’Unione Europea. E’ in questo quadro di carenza di strutture per i più piccoli che s’inserisce il preoccupante dato dell’Istat, secondo cui, nel 2016, 30mila donne italiane hanno dato le dimissioni dal posto di lavoro in occasione della maternità. Dalla fase fertile della vita alla terza età, sempre secondo i dati 2016 dell’Istat (riferibili al 2013), nel Belpaese le donne ricevono in media una pensione inferiore di un terzo meno degli uomini.

In compenso, percentuali Onu alla mano, il gap retributivo donne-uomini è pari al 23%, ma l’Italia è uno dei Paesi europei messi meglio, con una differenza intorno al 5% (in base alla paga oraria). Considerando le retribuzioni lorde annue, però, il gender pay gap da noi è al 12% (Osservatorio Repubblica Jopricing). Un costo, quello della disparità di genere nei salari, che secondo Eurofound costa all’Italia 5,7 punti del Pil.

Quanto al part-time, la percentuale femminile in Italia è sostanzialmente allineata a quella europea: nel 2016 nell’UE-28 poco meno di un terzo (31,4 %) delle donne occupate di età compresa tra i 20 e i 64 anni lavorava a tempo parziale, una quota quasi quadrupla rispetto a quella registrata per gli uomini (8,2 %).

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