Da Ursula a Ursula

di Andrea Mallamo

Roberta De Monticelli, filosofa e accademica italiana, è stata ospite a Gallarate della rassegna Filosofarti, il Festival di filosofia progettato da Cristina Boracchi in calendario fino al 29 marzo, che quest’anno ha come filo conduttore Eredità: fare futuro

di Chiara Milani

In un’intervista lei si è definita “fondamentalmente europeista”. Si ricordano sempre i padri fondatori dell’Europa, come Altiero Spinelli di cui lei ha parlato quest’anno a Filosofarti a Gallarate, ma meno delle madri fondatrici… Lei come può commentare questa narrazione?

Credo di essere molto più che vagamente “europeista”: credo che non ci sia oggi compito più urgente che quello di arrivare a una vera Federazione degli Stati Uniti d’Europa – anche se non appartengo a nessun movimento federalista. Credo che dissociare l’idea di democrazia da quella di nazione sia la sola grande innovazione del pensiero politico novecentesco. E non solo del pensiero politico. Se vengo a Filosofarti a parlare di Spinelli, se lo faccio, con l’aiuto di un attore, in modo che anche il linguaggio, il racconto, la vicenda morale e spirituale di Spinelli siano percepiti, per così dire, dal vivo, è perché quel pensiero è una grandiosa riflessione sull’intera civiltà europea, come civiltà della persona, ma anche civiltà incompiuta, e perciò stesso capace di terribili involuzioni, ma anche di profondo rinnovamento.

Quanto alle madri fondatrici: forse se non ci fosse stata Ursula Hirschmann, la grande ispiratrice di due fra gli autori del Manifesto di VentoteneSpinelli ed Eugenio Colorni – non si sarebbe acceso il fuoco del pensiero, a Ventotene. Scherzi a parte, all’Europa e a una sua possibile costituzione, pensata, appunto, per una rifondazione della civiltà dalle rovine della guerra, sono dedicati gli scritti di Simone Weil dall’esilio londinese, nel ’42. Simone Weil, che fonda la politica sull’ascolto dei bisogni dell’anima, dove il più profondo è quello di verità, cuore del bisogno di giustizia, e che – come Spinelli e senza certamente averlo conosciuto – vuole dissociare il concetto di democrazia da quello di nazione. Una pensatrice europea e anche esplicitamente federalista fu Jeanne Hersch, uno dei miei maestri, sulla cattedra della quale successi a Ginevra fra il 1989 e il 2004. Oltre l’orizzonte federale europeo, verso l’orizzonte universalistico dei diritti umani, va il pensiero di Eleanor Roosvelt, alla tenacia della quale si deve la più importante opera dell’Assemblea delle Nazioni Unite: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il 10 dicembre 1948.

Oggi intanto in Europa il ruolo delle donne in politica è ben diverso da quello ricoperto finora in Italia. In che modo il pensiero filosofico potrebbe contribuire a cambiare la situazione?

Mah. Certo, Ursula van der Leyen ha avuto un ruolo importante nella recente ripresa del processo di integrazione delle politiche europee in seguito alla crisi covid. Però posso confessarle che a Roberta Metsola, attuale Presidente del Parlamento Europeo, preferivo David Sassoli? Voglio dire che la questione di genere mi pare meno importante quando si parla dell’intelligenza e sensibilità dei dirigenti politici, da cui dipende che, progredendo nella cessione di sovranità, possa spettare all’Europa finalmente di legiferare meglio di quanto faccia ora l’Italia anche su materie di particolare interesse per una politica di genere.  

Lei ha detto anche che non è una femminista militante, ma non è neanche antifemminista. Come si mantiene il giusto equilibrio?

Diciamo che è proprio la militanza femminista che non sento coinvolgente – non qui e ora, quando quello che nel mondo è veramente minacciato sono semmai l’universalismo, i diritti umani, il liberalismo politico (vedi democrazie illiberali) e lo stato sociale. Le battaglie identitarie tipo LGTQ mi sembra siano oggi ben supportate, forse non hanno bisogno di ulteriore elaborazione teorica – perché cos’altro c’è da riconoscere oltre alla pari dignità degli umani, indipendentemente da sesso, genere, orientamento sessuale? Questo non significa, appunto, che io non trovi odiose le discriminazioni legate al genere. Lo sono. In fondo fu la mia prima battaglia, a circa 3 o forse 4 anni di età. Mi ricordo il sentimento di essere offesa nell’onore che provai quando la tata, volendo proteggermi dal sole, mi impose un foularino in testa, che mi ricordava quello di mia nonna: a me, il cui immaginario era già tutto teso in grandi imprese principesche o guerriere, del tutto ignare del fatto che non si addicevano a una bambina. Ecco, allora sarei certamente stata una piccola femminista ardente.

In foto: Roberta De Monticelli

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