Stereotipi da manuale

di Andrea Mallamo

Nel volume Infirmitas Sexus è pubblicata la ricerca di Paolo Nitti, professore di Psicolinguistica, da cui emerge come i libri di testo siano da rivedere per cambiare la cultura della parità di genere

a cura della redazione

Un immaginario sociale arcaico, senza dubbio non in linea con le pratiche ricorrenti all’interno della società contemporanea”. Così Paolo Nitti, professore di Psicolinguistica, boccia il modo in cui i libri di scuola parlano del ruolo di uomini e donne. Una riflessione molto interessante, che aveva proposto alla trasmissione Prospettive in occasione della presentazione del libro Infirmitas Sexus, curato a sei mani con i colleghi Paola Biavaschi e Paolo Bozzato, e su cui vale la pena tornare a riflettere alla vigilia della ripresa delle lezioni.

Quando i libri vengono “bocciati”

Nel volume vengono presentate ricerche sugli stereotipi di genere in prospettive multidisciplinare, come emerso durante la presentazione, avvenuta la scorsa primavera durante la lezione di Diritto e Deontologia dell’informazione all’università dell’insubria. Un evento trasmesso anche sulla pagina Facebook degli Alunni dell’ateneo, con la conduzione dal nostro direttore, Chiara Milani, che ha curato anche le conclusioni del libro, edito Mimesis. Tra gli studi più stimolanti riportati nella pubblicazione, proprio quella relativa ai testi scolastici. A quanto emerso, nei libri su cui studiano gli scolari “la proposta di un immaginario stereotipato di collocazioni è molto forte, molto rigido”, evidenzia Nitti. Riportando eventi concreti: “Il papà lavora, la mamma si occupa delle faccende domestiche. Il papà fuma la pipa, la mamma fa le coccole. In questo caso si può notare che non c’ è alcuna offesa”. Non si può, insomma, dire che la collocazione sia offensiva rispetto alle donne, ma l’editoria scolastica in questi casi offre un immaginario sociale che insegna gli stereotipi di genere. Mentre servirebbe un salto culturale a partire proprio dai banchi di scuola.

Politiche scolastiche da rivedere

Il tutto per contribuire a eliminare il sessismo linguistico che appunto, come spiega l’esperto, “delinea una serie di pratiche che non solamente insultano, deridono e offendono la donna, ma anche quelle che non la valorizzano all’interno della comunicazione”. Precisa Nitti: “Si parla del sessismo linguistico soprattutto quando bisogna distinguere due forme di comunicazione: una destinata ad uso privato e una invece per utilizzo pubblico, alla cosiddetta comunicazione massmediatica, all’interno della quale rientra naturalmente anche la comunicazione scolastica relativa all’editoria”. Ecco perché servirebbe una seria riflessione sulle politiche scolastiche inerenti la parità di genere, che funzionano a macchia di leopardo a seconda degli istituti. Per quanto riguarda l’editoria scolastica, abbiamo dei progetti molto importanti che si sono sviluppati a partire dagli anni Ottanta e Novanta, che ultimamente sono stati messi da parte, accantonati, tanto che ho proprio scritto un capitolo in cui ho presentato una ricerca relativa alla manualistica scolastica, che riguarda 50 testi per la primaria, con data di edizione o riedizione successiva al 2015 proprio per analizzare la situazione più recente, in cui emergono effettivamente degli usi sessisti”, conclude il professore di Psicolinguistica, che ricorda ha analizzato anche le professioni. Scoprendo che, nei manuali proposti ai bambini, le donne di solito fanno le casalinghe, le maestre e gli uomini gli ingegneri, gli avvocati, i medici… Un concetto fortemente stereotipato che rischia di fissarsi nella mente dei giovani che studiano su quei testi.

Il ruolo della linguistica educativa

Di qui il ruolo della linguistica educativa, che ha il compito di rendere gli individui consapevoli sul piano degli usi linguistici, con scelte inclusive soprattutto nella comunicazione pubblica. Insegnamenti proposti all’università dell”Insubria. “Al primo impatto la reazione di studentesse e studenti è legata al bentaltrismo, cioè al fatto che ci siano ben altri problemi di cui occuparsi, a partire dal femminicidio, all’occupazione femminile. Poi quando si analizzano i manuali, ecco che non si riscontrano più pareri negativi rispetto alla problematizzazione del fenomeno del sessismo linguistico”: conclude Nitti. L’importante, insomma, è creare consapevolezza. Una rivoluzione culturale magari non semplice, ma fondamentale.

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In foto: Paolo Nitti, professore di Psicolinguistica all’Università dell’Insubria

 

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