Oltre il Pnrr

di Andrea Mallamo

Dopo le ultime quote rosa stabilite dal governo, Anna Gervasoni, docente di Economia e gestione delle imprese alla Liuc di Castellanza e direttore di Aifi, riflette su quanto sta avvenendo nel mondo delle imprese private

di Anna Gervasoni

Obiettivo 40% ricercatrici donne. Il governo ha annunciato questa quota rosa per il reclutamento di risorse da inserire attraverso i fondi messi a disposizione per la ricerca. 30% la quota di genere che deve essere assicurata per le assunzioni in aziende che ottengono i contratti pubblici legati alla realizzazione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). Misure importanti, che danno un segno inequivocabile di volontà di riequilibrio di genere. Pari opportunità di accesso al mondo del lavoro. Ma nel mondo delle imprese private cosa sta avvenendo?

Non solo stile

Le società quotate devono redigere il rapporto di sostenibilità, in cui si indicano anche le politiche e le azioni di inclusione e di equilibrio di genere. Nelle non quotate, quindi nella maggioranza delle imprese italiane, non ci sono vincoli o indicazioni. È molto importante in questo contesto il ruolo dei finanziatori. Ad esempio, nel momento in cui intervengono fondi di private equity o venture capital, dovrebbe essere questo nuovo partner a sollecitare una maggior attenzione al così detto gender gap. Non è solo una questione di stile: questi operatori, infatti, a loro volta devono rispondere ai loro investitori, che chiedono di rendere più sostenibili le imprese oggetto di investimento.

Una Stivale con diverse sfumature di rosa

Il percorso è avviato, ma la strada è ancora lunga. Aifi, l’associazione italiana che raduna i fondi di private capital, ha realizzato un’analisi sul tema human capital, da cui è emerso che in media la percentuale di donne nelle imprese partecipate dai fondi è pari al 41%, in linea con la media nazionale del 42%. Quindi nessuna novità. Se si considerano le sole società con un numero di addetti, al momento dell’investimento, nella fascia 200-249, la quota di donne sale al 63%. Questo a livello generale, ma analizzando la geografia del nostro Paese, le percentuali scendono man mano che ci si sposta verso il Mezzogiorno: al nord, infatti, la presenza femminile nelle aziende è pari al 43%, al centro al 32%, mentre al sud si scende fino al 28%.

Vertici azzurri

Inoltre, il numero medio di dirigenti nell’organico aziendale è 7, di cui solamente una donna, per un peso del 9% circa sul numero totale di amministratori. Ovviamente bisognerebbe approfondire le tipologie di lavoro, e quindi vedere nella scala gerarchica come cambia la rappresentanza femminile, che purtroppo si assottiglia via via che si arriva al vertice. Del resto anche il settore stesso non fa eccezione. Se andiamo a vedere gli studi internazionali pubblicati da Preqin sul private equity, emerge che le donne rappresentano solamente il 18% degli occupati e questa percentuale si abbassa al 5% e 10% se si considerano rispettivamente la partecipazione ai consigli di amministrazione e lo svolgimento di ruoli senior. I dati di BVCA, l’associazione del private equity e venture capital nel Regno Unito, riferiti agli investitori istituzionali, mostrano che le donne sono solamente il 35% della forza lavoro, il 25% se si considerano i team di investimento e il 21% guardando a ruoli senior. L’industria del private equity, del resto, è sempre stata caratterizzata da una prevalenza nettamente maschile degli occupati, basti pensare ai nomi dei fondatori degli operatori storici del settore, spesso ancora oggi alla loro guida.

Un bel passo avanti

Questo non significa che non ci siano nel settore esempi importanti di donne alla guida di fondi anche di natura pan europea, ma certo questa costituisce ancora una rara eccezione. La situazione non è certo diversa per quanto riguarda il nostro Paese, dove le donne che guidano i fondi o comunque in posizioni apicali all’interno delle strutture, rappresentano un numero ancora troppo ridotto. È il momento migliore per affrontare e superare tutto questo però serve l’impegno e di tutti. Aifi vede un organico del 50% al femminile. Quest’anno al rinnovo del consiglio direttivo dell’Associazione, per la prima volta sono stati nominati ben cinque consiglieri donne su un totale di 20 componenti. Forse è un piccolo passo, però è un bel passo avanti.

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