Come non imballarsi

di Andrea Mallamo

Parla Lara Botta, imprenditrice milanese appassionata di politiche di genere, che grazie alla svolta sostenibile e alla cosiddetta innovazione frugale ha reso la storica azienda di famiglia di successo in tutto il mondo

di Chiara Milani

Più imballi, ma anche più attenzione da parte nostra al loro aspetto ecologico. Comieco, che è l’associazione nazionale per il recupero e il riciclo degli imballaggi, ha presentato un rapporto secondo cui ovviamente il boom dell’ecommerce legato al Covid19 ha fatto crescere il volume dei pacchi e dunque degli involucri. In compenso, secondo la ricerca, oggi 8 italiani su 10 privilegerebbero soluzioni di carta e cartone, perché ritenuti più sostenibili.

La rivoluzione green del packaging

Abbiamo allora chiesto a Lara Botta, che sta rivoluzionando il packaging in chiave green.

È un trend che continua ad aumentare anche a livello globale”, commenta l’imprenditrice milanese che, grazie alla svolta sostenibile e alla cosiddetta innovazione frugale, ha reso la storica azienda di famiglia di successo in tutto il mondo: “È vero che il materiale più richiesto ora è la carta perché a oggi può avere a fino a sette vite con le stesse qualità e le stesse prestazioni. Noi cerchiamo comunque sempre soluzioni innovative a tutto tondo. Il nostro business è quello delle scatole d’imballaggio in cartone ondulato, quelle classiche. Ci siamo spinti oltre, quindi non solo la scatola, ma quello che ci va dentro, quello che ci va fuori. Come viene movimentata. Quindi, guardare a tutto l’aspetto del packaging nelle varie forme per cercare di arrivare a una sostenibilità sempre più alta”.

Donne & Stem

Imprenditrice 4.0, già vice presidente dei Giovani di Confindustria, Botta è anche appassionata di politiche di genere. Le chiediamo allora anche un commento sul fatto che, in questo mondo che cambia così velocemente, la crisi occupazionale in corso, che è la peggiore da 90 anni a questa parte in tutto il mondo, sta incidendo soprattutto sul genere femminile. Per capire che cosa si possa fare per evitare che il virus non uccida le conquiste tanto faticosamente guadagnate, ma anche in che modo le donne possano essere loro stesse l’antivirus. “Noi sappiamo che abbiamo una disoccupazione alta e che ci sono tanti lavori che non trovano le competenze adatte”, rimarca la nostra interlocutrice: “Una delle cose che si può fare è far conoscere i lavori di oggi, che sono spesso all’interno di materie scientifiche, le cosiddette Stem (Scientifiche tecnologiche, economiche, matematiche), verso il cui studio le donne non vengono indirizzate dalle famiglie, per preconcetti e stereotipi di lungo corso. Ecco, sarebbe un passo avanti riuscire a dare queste nozioni alle ragazze, alle donne, ai genitori per agevolare sia le imprese che cercano queste competenze sia chi vuole un impiego. In tal modo potremmo rendere le prospettive non soltanto più rosee, ma anche più rosa”.

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