La didattica del futuro

di Andrea Mallamo

Mauro Ferrari, docente d’Informatica all’ateneo dell’Insubria, parla di come la pandemia sta cambiando per sempre anche l’insegnamento universitario

di Chiara Milani

Niente inaugurazione dell’anno accademico, nel 2020, per l‘università dell’Insubria. Che però ha passato tutta l’estate a preparare la didattica a distanza. Facendo così trovare pronta a traslocare online tutte le attività. A parte i laboratori. Per cui sta sperimentando una possibile soluzione all’avanguardia. A spiegarcelo è Mauro Ferrari, docente d’Informatica delegato dal rettore alla Didattica.

Come vede la didattica postpandemica?

È difficile immaginarsi cosa succederà dopo la pandemia. Sicuramente gli investimenti che gli atenei hanno fatto dal punto di vista tecnologico per affrontare questo momento non possono andare sprecati. Sicuramente ci sono molte opportunità, che erano sul tavolo già prima, di utilizzo di queste tecnologie proprio per migliorare la qualità della didattica. E sicuramente tutti gli atenei cercheranno di sfruttare al massimo queste nuove queste nuove tecnologie. Sicuramente si può aumentare l’inclusività, si può aumentare l’attrattività da parte dei corsi di studio. Si può si pensi agli studenti lavoratori o gli studenti che non risiedono nelle sedi universitarie, per cui sicuramente questo cambierà molto il modo in cui l’università si organizzeranno e questi strumenti diventeranno da ora in poi imprescindibili anche nella costruzione dei percorsi universitari tradizionali.

Insomma, anche qui ci sarà una nuova normalità, come del resto un po’ in tutti i settori. Ma servirebbero più investimenti, giusto?

E’ evidente che il sistema universitario in questi anni ha sofferto molto della carenza di finanziamenti. Quindi, da quando è scoppiata la pandemia, sono arrivati dei finanziamenti ad hoc proprio per potenziare le strutture digitali degli atenei. Quello che manca è probabilmente un piano che consenta di aumentare anche il personale, perché avere nuovi servizi vuol dire anche avere la necessità di gestire questi servizi. E da questo punto di vista probabilmente il sistema è un po’ carente. Per cui speriamo che in futuro avremo risorse per acquisire nuove professionalità, che poi devono anche essere specifiche perché gestire sistemi di didattica a distanza e progettare corsi integrando queste tecnologie richiede delle professionalità che in questo momento molti atenei non hanno. 

Intanto, magari c’è qualche esperienza che ha riscontrato in altri atenei al di fuori dell’Italia che le piacerebbe portare all’Insubria?

Di certo abbiamo visto delle esperienze che cercano di integrare anche le attività laboratoriali in un sistema di didattica distanza. Abbiamo una docente in ateneo che sta facendo una sperimentazione con dispositivi anche per la realtà aumentata, che consentono sostanzialmente di simulare la presenza in laboratorio. Ovviamente non sono sostitutivi, ma possono fornire un momento di formazione importante per lo studente che si abitua a utilizzare determinate procedure in totale sicurezza e a interagire con la strumentazione di laboratorio prima di andare effettivamente in aula. Quindi, le possibilità sono tantissime in ambito medico, anche in collaborazione con altri atenei. Insomma, ci sono tante opportunità.

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