Monsignor Claudio Livetti, già prevosto di Busto Arsizio, invita a ricordare la dimensione religiosa e interiore della festività che celebra il Bambin Gesù
di monsignor Claudio Livetti
Un Natale buono
In questi giorni ci scambiamo gli Auguri di Buon Natale. Cosa significa un Natale buono?
I bambini lo esprimono nella loro ingenua letterina a Babbo Natale, ma anche gli adulti coltivano i loro sogni: si attende la possibilità di stare coi figli e i nipoti durante le vacanze, si aspetta il ritorno del neolaureato che lavora all’estero, si prevede la riunione patriarcale del parentado (con la speranza segreta che non arrivi la vecchia zia inarrestabile nei pettegolezzi e pigra nel farsi la doccia), si sogna il bel tempo, con una spruzzatina di neve prima della Messa di mezzanotte, si attendono regali graditi e utili, si consulta Internet per sapere se i campi da sci saranno perfetti e il soggiorno nei mari caldi sarà confortevole.
Un Natale bello
Passate le feste ci si dice che è stato un Natale bello: emozionante il Presepio vivente della scuola dell’infanzia, in cui il nipotino interpretava San Giuseppe, commovente la Messa dei ragazzi, che agitavano le lanterne costruite coi genitori durante la novena, solenni le pastorali eseguite dall’organo e dalla corale.
Possono essere stati belli i momenti di famiglia allargata, le lunghe soste a tavola per raccontare ciò che non è possibile fare nei tempi del lavoro e della scuola, il gioco tradizionale della tombola, lo sfogliare vecchi album di famiglia, con la sorpresa che il paggetto di un matrimonio dei tempi andati … è quello che è diventato papà di recente. Bello il concerto di capodanno coi valzer viennesi e la visita alla metropoli, per conoscerne qualche aspetto nuovo.
Un Natale vero
Ma sarà stato un Natale vero? Per essere vero deve avere una dimensione religiosa. Una festa di compleanno richiede la presenza del Festeggiato: il Dio Bambino. Questa festa ha sostituito un momento religioso pre-cristiano di fine dicembre. Nella seconda decade di questo mese, il sole è in ritirata, di fronte alle tenebre che avanzano, ma nella terza decade il sole passa alla riscossa. Gli antichi romani, di fronte a questa rivincita, festeggiavano il “Sol invictus” (il sole invincibile), il Dio Sole. Dopo l’editto di Costantino nell’anno 313, la festa religiosa pagana ha avuto una connotazione cristiana. Gesù è il “Sole che sorge dall’alto” come afferma il cantico di Zaccaria nel Vangelo di Luca.
Il Natale, per essere vero, deve avere anche una dimensione interiore. Travolti come siamo dagli impegni e dalle preoccupazioni, dai bombardamenti televisivi che reclamizzano tante cose inutili, perché non creare un appuntamento con noi stessi: uno spazio per riflettere, un tempo per isolarci in una “cella”? Questo termine non ha un’origine carceraria ma monastica. Cella deriva da “Coelus” (cielo): il monaco nella stanzetta vedeva solo il cielo cioè il proprio io profondo, alla luce di Dio. Non è nella profondità che si annega, ma nella superficialità. La catastrofe di alcune esistenze si cela nelle pieghe apparentemente innocue della quotidianità epidermica, banale, ripetitiva e vacua.
“Entra in te stesso”
Il mistico islamico medioevale Gialal ed-Din Rumi diceva: “Il Signore ha bisbigliato qualcosa all’orecchio della rosa, ed eccola aprirsi al sorriso. Ha mormorato qualcosa al sasso, ed ecco ne ha fatto una gemma preziosa, scintillante nella miniera. E quando ancora dice qualcosa all’orecchio del sole, la guancia rossa del sole si copre di mille eclissi. Ma che cosa avrà mai bisbigliato il Signore all’orecchio dell’uomo, per farne una creatura così mirabile? Entra in te stesso!”.