SLOW Se la sostenibilità è servita

di Redazione VareseMese

 Di Jacopo Fontaneto

Quando si parla di sostenibilità, l’aspetto dell’alimentazione ha un ruolo importante. Francesca Mastrovito cura con Eugenio Signoroni la guida alle Osterie d’Italia di Slow Food, appena pubblicata con tante novità lombarde (3 nuove realtà premiate con la “chiocciola”, il massimo risultato, con un totale regionale di 19). Nella chiacchierata con VareseMese, ecco una sua visione di sostenibilità a tutto tondo nel mondo della ristorazione.

Tu sei curatrice della guida alle Osterie d’Italia di Slow Food. Per voi la sostenibilità è un punto cardine: come la intendi e come è cambiato, negli anni, l’approccio della ristorazione verso questo aspetto?

Per il modo in cui sono connesse al territorio, per il costante lavoro di cura e valorizzazione della materia prima, dei produttori e delle loro storie (condizioni, queste, fondamentali per essere presenti sin dalla prima edizione), le osterie segnalate in guida hanno da sempre avuto un occhio di riguardo alla sostenibilità – before it was cool, per dirlo al passo con i tempi. Questo perché le condizioni di cui sopra non arrivano come risposta a necessità contingenti, ma sono parte integrante dell’identità di questi luoghi. Allo stesso tempo, le osterie permettono di riempire una parola pericolosamente vuota (o meglio svuotata) con significati che non si limitano all’accezione ambientale: pensiamo infatti alla sostenibilità economica e sociale dei piccoli borghi sostenuti da queste piccole imprese ristorative, luoghi riscoperti dal turismo anche dopo eventi climatici e ambientali disastrosi, ma anche, per toccare un tema caldissimo, alla sostenibilità umana di chi sceglie di lavorare in osteria, o ancora una più o meno inconsapevole lotta allo spreco alimentare operata attraverso la perpetrazione di quelle ricette della cucina italiana dette appunto “di recupero”. Al netto delle implementazioni tecnologiche e non, del grande lavoro di consapevolezza e sensibilizzazione che si sta portando avanti in questi ultimi anni nel settore della ristorazione, credo che ascoltare le voci di chi non ha adottato, bensì è nato in uno stile di vita e di impresa sostenibile possa sicuramente portare un valore aggiunto alla conversazione in corso.

La guida Michelin ha introdotto la stella verde sostenibile. E’ l’inizio di una rivoluzione che contagerà altri segmenti della critica gastronomica? E in questo senso come si pone lo scenario dei ristoranti italiani, anche di fascia media, rispetto al resto d’Europa?

Credo che il dilemma dell’uovo e della gallina sia facilmente risolvibile, in questo caso: penso infatti che la nascita di simboli e premi speciali per la sostenibilità siano più una conseguenza alla maggior consapevolezza sul tema, e non viceversa. Certo, è vero che potranno contribuire ad alimentarne e incoraggiarne il dialogo, ma non la considererei affatto una rivoluzione – quanto più uno stare al passo con quelli che sono i temi importanti per il settore e per il mondo. A questo proposito, vedo la situazione europea come estremamente variegata, e di conseguenza con spunti molto validi da questa o quella tradizione o tendenza gastronomica: i ristoranti italiani che operano una bilanciata evoluzione della nostra cultura culinaria non possono che apportare un grande contributo a questo scenario, recuperando e/o migliorando tutte quelle tecniche, ricette e pratiche (da sempre presenti nei nostri ricettari) alleate dell’ambiente.

La sostenibilità è spesso collegata al solo tema ambientale. Per un ristorante, come per ogni azienda, essa non può prescindere anche dal lato economico. Qual è il giusto punto d’incontro tra le due?

Una risposta sensata e realistica non può che arrivare da uno o più ristoratori, da chi opera quotidianamente scelte di questo tipo. È anche vero però che molte delle pratiche sostenibili di impatto quotidiano, comprese quelle casalinghe, molto spesso vanno a braccetto con un certo risparmio. Ecco, mettendo anche in conto determinati investimenti iniziali, come nel caso di strumenti e infrastrutture energetiche o più semplicemente la creazione di un orto, la visione sul lungo termine non può che confermare un bilanciamento (se non proprio un vantaggio) dell’impatto di pratiche sostenibili sull’economia di impresa.

 

Oggi fare il critico gastronomico è un mestiere costoso. Nel senso che i conti al ristorante vanno pagati e, spesso, il guadagno per una recensione è minore della spesa. Senza contare i ristoranti che, a fronte della prova, si sceglie di non recensire. Secondo te come va affrontato questo aspetto di “sostenibilità della critica gastronomica”? E’ diventato solo un mestiere per benestanti?

Tema importantissimo. Ancor prima di parlare di privilegio, che resta comunque l’elefante nella stanza, credo si debba affrontare una problematica maggiore che inevitabilmente si genera a fronte di compensi così bassi, ma anche della necessità di sfornare articoli a ritmo insostenibile (appunto) e dall’infiltrazione poco chiara di contenuti sponsorizzati a qualsiasi livello: la qualità e la veridicità dell’informazione. La critica e il giornalismo in generale sono servizi volti esclusivamente al lettore, per cui non posso che auspicare a un ripensamento generale delle logiche editoriali che favoriscano le condizioni per poter rispettare nel miglior modo possibile questo patto. Non posso poi che portare la mia esperienza personale sul tavolo e affermare, senza troppi problemi, che la scrittura gastronomica non è il mio unico mestiere: ho avuto la fortuna di affiancarla ad altre attività altrettanto interessanti da cui posso trarre spunto per l’editoria, e viceversa. Capisco benissimo chi aspira a scrivere come unica professione, ma ecco, non è necessariamente un dramma spartire in maniera sana il proprio tempo – anzi, i vantaggi in termini di sviluppo del pensiero e di creatività sono notevoli.

C’è anche un altro problema di sostenibilità del giornalista gastronomico: mantenere linea e salute. E ognuno di noi ha una sua strategia, più o meno efficace. Tu hai qualche segreto particolare?

Mi permetto di rispondere letteralmente di pancia: ascoltare il proprio stomaco e in generale il proprio corpo è fondamentale. I limiti imposti dalla sazietà non devono essere sottovalutati, così come un costante e routinario controllo del proprio benessere non deve prescindere dalla quotidianità. Spostarsi in città in sella a una bici, poi, non può che aiutare.

In foto: Presentazione Guida Osterie d’Italia 2023 Slow Food @ Teatro Strehler Ph Gloria Soverini

 

 

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