Dono divino

di Andrea Mallamo

Monsignor Claudio Livetti, già prevosto di Busto Arsizio, riflette sul fascino della parola e su come, per chi crede, essa sia un regalo del Signore all’umanità

di Monsignor Claudio Livetti

 

La parola è un segno della somiglianza dell’uomo a Dio. Dio parla e ci dona un librone di più di mille pagine: la Bibbia, che il Cardinal Martini chiamava: ”lampada ai suoi passi”. In quel testo leggiamo che gli idoli hanno bocca, ma non parlano. Gli animali comunicano, ma non a parole. Il cane Argo ha un sussulto vedendo Ulisse dopo 20 anni, ma non dice: ”Ti ho riconosciuto”. Il cavallo esprime la sua fatica con un sudore … da cavallo, ma non dice: ”Mi avete fatto tirare troppo il carro”. Il micio si avvicina e struscia ma non dice: ”Ho bisogno di coccole”. La gallina canta ma non spiega: ”Ho fatto l’uovo e sono pronta per essere fecondata”. Il cigno esprime il suo lamento, senza dire: ”Ascoltatemi, che sto per morire”. Solo l’uomo parla. Venire al mondo è accedere alla parola. La parola è la facoltà di esprimere il proprio punto di vista e discuterlo con gli altri e con se stessi. La parola è il luogo della nostra umanità singolare, ancorata alla nostra carne, alla nostra sessualità, nella nostra storia personale e sociale. Come i cibi possono piacere o non piacere, nutrire o avvelenare, così è delle parole.

 

Le parole spiacevoli

Talvolta siamo costretti ad ascoltarle, specialmente dagli oratori. Ci sono quelli che parlano “a testo” (Il Papa, il Presidente della Repubblica…), quelli che parlano “a braccio”, ma esprimendo valori e concetti, e purtroppo quelli che parlano “a vanvera”. Ci sono talvolta dei politici che hanno dimenticato la regola delle tre “C” (chiaro, conciso e convincente) e fanno sproloqui seguendo il canone negativo delle tre “V” (vago, verboso, vacillante). C’è qualcuno molto bravo a parlare per un’ora senza dire niente: discorsi stomachevoli a vanvera. È brutto anche ascoltare parole insincere di chi non ti puoi fidare. Ho conosciuto una persona che aveva l’abitudine di iniziare con: ”A dire la verità…”: quando parlava così era chiarissimo che stava per dire una bugia. Di un altro personaggio si mormorava: ”Quello lì dice qualche volta la verità: quando proprio è a corto di bugie”. Stanca anche il discorso ironico. L’ironia è la dissimulazione del proprio pensiero, con parole che significano il contrario di ciò che si vuol dire, con il tono tuttavia di lasciar intendere il loro significato. Non bisogna affidarsi eccessivamente all’intelligenza di chi ascolta: può trattarsi di un genuino, un semplice, che rimane disorientato. Urtano le parole urlate dalle persone arrabbiate. Esse urlano perché il loro cuore è lontano. Quando due persone sono innamorate, non gridano, ma parlano piano. I loro cuori sono vicini. La distanza tra loro è piccola, talmente piccola che spesso amano sussurrare tra loro  e si capiscono con uno sguardo o un bacio.

 

Le parole piacevoli

Sono quelle della semplicità. Don Primo Mazzolari disse: ”Le grandi parole riescono forse ad esaltarci, ma sono le parole che hanno il sapore delle labbra paterne che ci tengono veramente su il cuore. Siamo stanchi di tutto, in diffidenza verso tutti. Abbiamo anche il cuore chiuso: ma se uno ci parla come si parla ai fanciulli, tutto si spalanca”. È la semplicità a cui allude l’autore del Piccolo Principe, quando afferma che tutti gli uomini sono stati bambini, ma sono pochi quelli che lo ricordano. È la semplicità del Vangelo, capace di esprimere cose altissime con parole comuni, relative alla vita del tempo del Maestro di Nazaret. Una semplicità capace di seminare molta gioia e speranza. Una confidenza. Quando stavo per diventare prete, il curriculum della laurea in Teologia aveva eliminato la materia della sacra eloquenza. Io mi domandavo come avrei fatto a tenere prediche, sermoni, omelie, senza che nessuno me lo insegnasse. Un vecchio docente, saggio e devoto mi disse: ”Non preoccuparti: prima prega, poi pensa bene le parole giuste, quando sei sul pulpito dille, poi scendi senza tirare in lungo”. Un altro professore, più giovane e scanzonato: ”Le prediche devono essere come le minigonne: corte e aderenti alla vita”. Come mai nel rito romano subito dopo la predica c’è il Credo? Qualcuno malignamente ha detto il motivo: “Nonostante quello che ha detto il predicatore…diciamo: Credo”. Mi domando spesso se sono stato un buon operatore della Parola o un parlatore a vuoto che ha indotto i fedeli a dire: ”Nonostante le parole che ho ascoltato, credo”. 

Foto: Ph Spencer Wing da Pixabay

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