Monsignor Claudio Livetti, già prevosto di Busto Arsizio, riflette sul coraggio necessario in questo mese di ripartenza delle attività. Citando il sociologo statunitense Alvin Toffler si chiede: saremo capaci di “imparare, dimparare e reimparare”?
di monsignor Claudio Livetti
In settembre, terminate le ferie e le vacanze, si deve rimettere in moto ogni attività scolastica ed educativa, lavorativa e sindacale, sociale e politica, comunitaria e religiosa. Ogni partenza é sempre difficile, ma questa volta lo é maggiormente dopo che, primi dopo la Cina, siamo stati travolti dall’alluvione della pandemia. Dopo un’inondazione, quando calano le acque, si piangono le vittime, si calcolano i danni, si bonifica e si riparte. Dopo lo scombussolamento avvenuto non sarà possibile sognare che tutto possa ritornare come prima, ricalcando i vecchi schemi. Abbiamo già colto nuove esigenze e ne prevediamo altre che si fanno avanti con urgenza. Se é brutto nascere originali e morire copie, é ancora più brutto vivacchiare riproducendo fotocopie stantie invece che scrivere la pagina che serve al momento. La ripartenza di Genova col ponte nuovo, più bello e più sicuro del precedente, é l’esempio a cui ispirarsi.
Le priorità
Sono certamente la salute e l’istruzione, ma anche il pane da mangiare e il lavoro per guadagnarlo. Un fatto storico: durante la carestia, succeduta alla peste, San Carlo Borromeo fece arrivare dalla Svizzera tante greggi di capre, per i bambini che avevano perso la mamma durante l’epidemia e fece incrementare dai parroci la coltivazione del mais, perché non mancasse almeno il piatto della polenta. In una certa zona della Brianza il granoturco é ancora chiamato “Carlone”: memoria storica di un grande vescovo che ha saputo sfamare i poveri.
Durante la pandemia chi aveva meno ha pagato di più e chi aveva di più ha pagato di meno. il nuovo anno sociale dovrà ristabilire un equilibrio e “dar da magiare agli affamati” ma anche “dar da lavorare ai disoccupati”.
Creatività e inventiva
In questa nuova fase vale chi sa scoprire prospettive nuove, chi sa proporre, chi trova risposte per le nuove esigenze. Un solo esempio: é saltata un’impostazione dell’edilizia scolastica, col corrispettivo arredo e della didattica stessa, che durava da almeno cinquant’anni. Alvin Toffler, sociologo statunitense, sostiene: ”Nel secolo XXI gli analfabeti non saranno quelli che non sanno leggere e scrivere, ma coloro che non sapranno imparare, disimparare e reimparare”. Noi saremo capaci, analogamente, di saper programmare, sprogrammare e riprogrammare? progettare, cestinare i progetti e riprogettare? Costruire, demolire e ricostruire? Avere un lavoro, restare disoccupati e riciclarci in un lavoro nuovo?
Un umanesimo rinnovato
Albert Camus disse: ”Ogni generazione si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà: Il suo compito é forse più grande: impedire che il mondo si distrugga”. Noi a questo programma non ci stiamo! Noi vogliamo dare una svolta antropologica, perché per fare cose nuove occorrono persone nuove. Prima di agire é importante essere. Saremo più umani o invece più disumani? Etty Hillesum, l’ebrea olandese sterminata ad Aushwitz, scrive qualche tempo prima sul suo diario: ”Dopo la guerra due correnti attraverseranno il mondo: una corrente di umanesimo e una di odio”.
Dopo il 1945 é cresciuto e quasi esploso il benessere economico e culturale, ma anche tanto malessere sociale, morale, tanta crudeltà che ci rende disumani. Abbiamo quasi dimenticato di essere immagine e somiglianza di Dio. Il benessere delle cose e del danaro ha atrofizzato lo spirito ed emarginato la pratica religiosa, se non addirittura la stessa fede interiore. Abbiamo un’occasione unica, dopo la lezione impartitaci dalla pandemia, per riprendere tutti i valori umani: uomini nuovi per una storia nuova.
In foto: Collaudo statico del nuovo Ponte Genova San Giorgio. Fonte: www.stradeanas.it