In Italia l’emergenza sanitaria sta aumentando la già profonda disparità tra maschi e femmine. E’ quanto emerso dalla puntata di novembre di Varese diamo i numeri, il nostro spazio di approfondimento mensile tv, in cui – ogni primo venerdì del mese alle 20.15 su Rete55 – facciamo parlare le statistiche con l’aiuto dell’economista Massimiliano Serati e del cartoonist Tiziano Riverso
di Chiara Milani
Lavoro
3
Le realtà europee messe a confronto: una nel Nord, una al Centro e una al Sud del nostro continente. Ossia Svezia, Germania e Italia
76°
Secondo il Wef, è la posizione dell’Italia nel mondo per il gender pay gap, contro la decima della Germania e la quarta della Svezia
59,7%
Secondo l’Istat, la percentuale delle donne che lavorano al Nord Italia, mentre al Sud sono 1 su 3, il che fa dell’Italia la penultima nazione in Europa
60%
Il part-time femminile in Italia nel 2019, contro il 34,9% del 2007. Preponderante tra le lavoratrici più giovani, è cresciuto in maniera involontaria
88%
la concentrazione delle donne negli impieghi della gestione della casa, seguita dall’ambito educativo, quello sociosanitario e le attività di servizio
Politica
1/3
Oggi in Italia un parlamentare su 3 è donna, contro una media europea del 32.1 per cento e nazioni come la Svezia che registrano il 47,3%
7
Il numero dei ministri donna del governo Conto. Nel 2018 è stato anche nominato il primo Presidente del Senato femmina
4°
Il mandato di Angela Markel in Germania, anche se nel Bundestag si registra la quota minima femminile da 20 anni a questa parte
52,5%
La percentuale di gender gap della Svezia per quanto riguarda l’empowerment politico secondo il report 2020 del Wef, contro il 26,7% dell’Italia
——
E’ una forma di violenza più strisciante rispetto a quella fisica o psicologica. Eppure, come questi altri due tipi di soprusi, non soltanto esiste. Ma a causa del Covid-19 è addirittura peggiorata.
Il gender pay gap, questo “sconosciuto”
Ma andiamo con ordine. Partendo dal fenomeno – spesso taciuto o dato per scontato – del gender pay gap che, come ben sintetizza l’economista Massimiliano Serati, “è quella asimmetria retributiva legata all’appartenenza al genere, quindi maschile e femminile, sia a parità di condizione professionale, e in questo caso si configura come vera e propria discriminazione, sia legata a segregazione professionale, quindi al fatto che alle donne vengano riservate occupazioni usualmente meno retribuite di quelle riservate agli uomini”.
La vergogna tricolore
Rispetto al resto del mondo, l’Italia non è messa affatto bene, per usare un eufemismo. Per rendersene conto basta vedere il confronto dell’analisi empirica tra tre differenti nazioni europee – una del Nord, una del Centro del Sud Europa – ossia Svezia, Germania e la nostra Italia. “Le differenze principali che emergono sono riassumibili in numeri abbastanza semplici”, analizza il professore di Economia politica dell’Università Liuc Carlo Cattaneo di Castellanza: “Se andiamo a misurare l’ampiezza del gender pay gap, secondo i dati del World Economic Forum, l’Italia è al 76esimo posto tra i paesi del mondo, la Germania è al decimo e la Svezia,che notoriamente è più avanti come tante altre nazioni del Nord Europa rispetto alla media mondiale, si piazza al quarto posto”. Di qui, la riflessione tranchant: “La differenza tra il nostro 76esimo e il quarto della Svezia penso non meriti altri commenti”.
Occupazione e part-time non all’altezza dell’Europa
Peraltro, tornando ad analizzare la disparità lavorativa, Eurostat va oltre e analizza anche i dati che riguardano occupazione e part-time. Facendo emergere chiaramente che, anche da queste prospettive, nel nostro Paese non siamo messi affatto bene. Anzi, per nulla. “Per quanto ci siano stati negli ultimi dieci anni lievi miglioramenti, rimaniamo al penultimo posto in Europa per tasso di occupazione femminile, con particolare debolezza tra le giovani donne, quindi quelle al di sotto dei trent’anni”, illustra infatti il nostro interlocutore: “E per quanto riguarda il part-time non siamo proprio ultimi nella graduatoria europea, ma siamo nettamente al di sotto della media”.
Overeducation
Tutto ciò nonostante anche il Italia le donne studino di più, si laureino in corso e con voti più elevati, ma privilegiando studi che hanno minori prospettive occupazionali e retributive. Seppure, a parità di studi, anche nelle materie Stem (Scientifiche, tecnologiche, economiche e matematiche), gli stipendi per lei siano mediamente più bassi di circa un terzo.
L’impatto squilibrato del Covid-19
Infine, ma non ultimo, l’impatto del Covid-19 ha ulteriormente peggiorato la situazione. Ma in che modo ha reso più profonde le disuguaglianze di genere? “Direi a tutti i livelli”, ci risponde Serati: “In generale, queste crisi accentuano le diseguaglianze e questo è un esempio evidentissimo: il numero di donne che ha perso il lavoro è nettamente superiore in percentuale a quello degli uomini, il numero di donne che ha visto decurtata la propria retribuzione è superiore a quello degli uomini e si è accentuato il fenomeno di segregazione professionale, che limita le donne solamente ad alcuni settori usualmente a bassa retribuzione, quindi quello della cura o assistenza alla persona, del settore educativo e dintorni. Per cui, diciamo, tra le altre disuguaglianze che la crisi ha accentuato, purtroppo c’è anche questa situazione”.
Le vittime dimenticate
Eppure, dopo un po’ di battage informativo all’inizio del lockdown la scorsa primavera – quando le mamme si sono di colpo trovate a dover lavorare da remoto con i figli a casa da scuola – quasi più nessuno parla dell’emergenza lavorativa femminile. E così, nell’indifferenza dei più, nel nostro Paese fa sempre più vittime anche il virus del divario di genere.