Oggi è possibile quasi azzerare l’incidenza del carcinoma della cervice uterina, che colpisce soprattutto le giovani ed è più frequente in Lombardia. Maurizio Serati, professore associato di Ginecologia e ostetricia all’Università dell’Insubria, parla delle ultime frontiere per ridurre il rischio di contrarre questa malattia
di Maurizio Serati
Il carcinoma della cervice uterina è al secondo posto nel mondo, dopo la mammella, tra i tumori che colpiscono le donne. In Italia è stato diagnosticato nel 2018 in 2.400 nuovi casi. Questa neoplasia è più frequente nella fascia giovanile (4% dei casi, quinta più diffusa) mentre dopo i 50 anni rappresenta complessivamente l’1% dei tumori femminili. Tuttora è responsabile di circa il 5% dei decessi per cancro tra le donne e Il suo tasso di prevalenza è più alto nelle regioni del Nord, in particolare in Lombardia.
La causa di questa neoplasia è rappresentata dalla infezione da parte del Papilloma virus umano 1 (HPV). Si tratta di un pool di ceppi ad alto rischio di questo virus a trasmissione per via sessuale. La cancerogenesi è di lunga durata e il carcinoma rappresenta la fase evolutiva finale di una serie di lesioni a rischio progressivamente più alto, che particolarmente nelle fasi iniziali possono peraltro regredire spontaneamente. I fattori di rischio riguardano fondamentalmente tutte le condizioni di trasmissione del virus e di progressione delle lesioni premaligne. Queste condizioni sono favorite da basso livello socio-economico (con scarso accesso alla prevenzione), numero di partner, giovane età di inizio dell’attività sessuale e parità.
Un tumore “unico”
Conoscere la causa di un tumore maligno è un’assoluta rarità ed è proprio per questo che per il carcinoma della cervice è unico (in senso positivo) in termini di prevenzione e di screening. Sapere che solo in presenza dell’infezione da parte di certi ceppi di HPV si può arrivare a sviluppare un carcinoma della cervice ha portato alla introduzione di vaccini anti-hpv sempre più efficaci e “completi”, fino al più recente vaccino 9-valente, capace di rendere immuni ai ceppi 16 e 18 (responsabili da soli del 90% delle lesioni pre-tumorali e tumorali del collo dell’utero) e ad altri 7 ceppi. Vaccinarsi significa ridurre in modo drastico il rischio di sviluppare lesioni. E questa prevenzione primaria, se associata a un adeguato programma di screening, potenzia ulteriormente la prevenzione di questo tumore.
L’efficacia della prevenzione
Pertanto sottoporsi a pap test periodici, e/o alla ricerca periodica del Dna del papilloma virus, permette di scoprire l’infezione o la presenza di lesioni benigne, ma pretumorali, con anni di anticipo rispetto alla insorgenza del tumore. E in caso di anomalia rilevata da questi esami, esiste anche la colposcopia, un esame di diagnosi precoce delle lesioni pretumorali, non doloroso, non invasivo e che mediante l’osservazione e un’eventuale biopsia permette di avere una diagnosi precisa del grado delle lesioni e pertanto di poterle eliminare prima che diventino tumore.
Insomma, vaccino, pap e Dna test, Hpv, e colposcopia rappresentano, probabilmente, il miglior sistema di screening-prevenzione-diagnosi precoce che esista in medicina nei confronti di un tumore maligno e potrebbero potenzialmente quasi azzerare l’incidenza del carcinoma della cervice.
In fondo volersi bene significa anche e soprattutto prevenire, laddove è possibile, patologie gravi, e nel caso del tumore alla cervice questo è possibile, anzi doveroso.
In foto: Maurizio Serati