Esports in B.A.

di Andrea Mallamo

Si sono conosciuti sul palco della prima edizione di TEDx Busto Arsizio. L’ideatore di giochi Luca Borsa intervista per noi Simone “AkirA” Trimarchi, tra gli speaker della seconda edizione della manifestazione ospitata al Campus Reti per conoscere meglio gli sport elettronici, che si preparano a sbarcare alle Olimpiadi e iniziano ad entrare anche nelle scuole

di Luca Borsa

Hanno un forte potenziale di crescita, ancora inesploso in Italia. Stiamo parlando degli esports, ossia gli sport elettronici: un movimento competitivo videoludico che si prepara a sbarcare alle Olimpiadi. E intanto, fa capolino, nelle scuole. Anche nel nostro Paese. Dove sempre più ragazzi ne sono coinvolti.

Per fare il punto della situazione, Reti, società di consulenza informatica di Busto Arsizio, ha ideato un evento gratuito, chiamato esports Italy, che a maggio si è tenuto per il secondo anno nel Campus della Spa.

Sul palco, a presentare l’evento, Jessica Armanetti, conosciuta anche come MissHatred e lo speaker radiofonico Bryan Ronzani, che hanno introdotto numerosi specialisti. Tra cui l’esperto Simone “AkirA” Trimarchi, che giusto il mese prima in questa sede era stato uno degli speaker del primo TEDx Busto Arsizio.

Simone, tu che sei un grande conoscitore del mondo dei videogame vuoi spiegare brevemente cosa sono esattamente gli esports e la loro storia?
Gli esports sono tornei di videogiochi competitivi organizzati e praticati da professionisti (o semi professionisti). Il termine fu usato per la prima volta nel 2000 dal ministro della cultura e del turismo della Corea del Sud, Ji-Won Park. Il movimento nasce comunque qualche anno prima con la fondazione dei primi tornei internazionali di videogiochi come la CPL (Cyber athlete professional league) nel 1997. In uno dei primi tornei di Quake, il creatore del gioco, John Carmack, mise in palio la sua Ferrari che fu vinta da Dennis Fong diciamo che quella vincita rappresenta la nascita vera dei tornei di videogiochi e Tresh, questo il nickname di Fong, è considerato da tutti il primo giocatore professionista.

Tu pensi che una realtà come Busto Arsizio e il suo territorio potrebbero ospitare manifestazioni di questo tipo?
I tornei di esport più grandi hanno sicuramente bisogno di un aeroporto vicino e di strutture ricettive pronte ad ospitare una massa di persone. Gli Intel Extreme Masters di Katowice, ad esempio, coinvolgono circa 100mila spettatori ogni anno nella cittadina polacca. Direi che Busto si presterebbe benissimo per un torneo internazionale: ha Malpensa praticamente ad un passo, è davvero una città molto carina ed ha realtà imprenditoriali davvero interessanti che beneficerebbero di un indotto simile. Quindi, perché no?

Quale pensi sia il valore degli esports anche dal punto di vista di un diverso approccio al videogame?
Quando gli esport raccontano grandi storie umane riescono a coinvolgere anche persone non interessate al videogame. Questa è la loro forza: mentre quando si parla di un prodotto videoludico con una recensione la stessa sarà sempre dedicata ad un pubblico di appassionati, quando si racconta la storia di un ragazzo che tramite il videogioco è riuscito ad affermarsi vincendo un torneo si utilizza un linguaggio più umano, comprensibile da chiunque. Di certo, comunque, bisogna comunque cambiare la cultura, che fatica a vedere chi si impegni in questo tipo di attività come un professionista. Ci vorrà tempo, ma sono sicuro che succederà.

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