Una storia golosa

di Andrea Mallamo

Il critico gastronomico Jacopo Fontaneto ci racconta i gustosi aneddoti legati a uno dei simboli della gastronomia milanese: “Anche Metternich e Manzobi ne erano ghiotti”

di Jacopo Fontaneto

Era un Natale sul finire del 1400 in una Milano che, anche allora, era una capitale sfavillante e operosa, che andava veloce. Le merci raggiungevano il cuore della città da tutta la Lombardia attraverso le vie d’acqua: stracchini, Gorgonzola e il legno dai boschi della Valsassina, ad esempio, o le pietre del Lago Maggiore che viaggiavano nella cerchia dei Navigli “a ufa”, senza pagare dazio. Erano infatti destinate (Ad Usum Fabricae) alla Veneranda Fabbrica del Duomo, la cui costruzione procedeva spedita.

Dal Natale dal “Moro” al convento di Ughetta

La leggenda vuole che il panettone sia nato per caso, in una cena tra le mura del Castello Sforzesco alla corte di Ludovico il Moro. Il numero uno della politica del tempo, tanto illuminato da potersi permettere di tenere a libro paga personaggi del calibro di Leonardo Da Vinci. E, ben si capisce, il pranzo di Natale dal “Moro” era qualcosa che più glamour non si può. Immaginatevi dunque la scena del cuoco che, disperato, si accorge di aver bruciato il dolce, e del suo sguattero di cucina (tale Toni) che propone di risolvere la situazione portando in tavola un suo dolce preparato con gli avanzi di cucina, un pane lievitato cui aveva aggiunto cedro e uva passa.
Una storia romanzata quanto abbastanza inverosimile, sia per la complessità della lavorazione del panettone, sia per i quantitativi necessari a sfamare il banchetto.
Altre due leggende milanesi vogliono il panettone “inventato” da Messer Ulivo degli Atellani, falconiere innamorato della figlia di un fornaio, oppure da tale Ughetta, suora cuciniera entro le mura un convento meneghino.
Il contributo dato alla cucina e alla diffusione delle ricette da parte dei conventi non è mai da sottovalutare ed è, anzi, un caposaldo specie nei tempi più remoti dell’Alto Medioevo (dove, peraltro, deve ricercarsi l’origine e la diffusione del panettone).

Spizzicando tra impasti lievitati e uva passa

Altri due fattori da considerare, sono l’esistenza di più antichi lievitati, uno dei quali si dice citato dal comasco Plinio il Vecchio (l’autore latino parla di un panis preparato con fiori di farina, burro e olio) e dall’esistenza accertata di lievitati (come il pandoro veneto) già nel tredicesimo secolo. L’aggiunta di uva passa lo accomuna, curiosamente, a dolci diffusi da tempi ancestrali sull’arco alpino (ancorché più simili a un pane dolce, come l’odierno mecoulin valdostano) che utilizzavano uvetta o frutta secca nel loro impasto (ancor oggi la bisciola, ad esempio, porta il nome di panettone valtellinese), con un punto di contatto importante con la tradizione germanica (sia a Dresda che a Naumburg, nel Burgenland, ad esempio, si ha notizia certa dell’esistenza medievale dei Christstollen, anch’essi con uva passa) da cui deriverebbe anche l’ossolano crescenzin.

Un pan grande da spezzare in famiglia

A confondere ancor più le idee, provvede l’autore milanese Pietro Verri che nella sua Storia di Milano racconta narra di un’antica consuetudine che nel nono secolo animava le feste cristiane legate al territorio milanese: a Natale la famiglia intera si riuniva intorno al focolare attendendo che il capofamiglia spezzasse “un pan grande” dividendolo tra tutti i commensali, in segno di comunione (nei secoli, si consoliderà l’usanza di conservarne una fettina da consumare il giorno di San Biagio).

Il dessert trendy da secoli
Lo stesso pane grande, o panettone, che la tavola di Ludovico il Moro consacrerà (con ogni probabilità senza l’errore di nessuno) alla leggenda? Forse i fili della storia si annodano qui, per procedere a passo spedito: nei secoli successivi, il panettone è tra i simboli internazionali della gastronomia milanese: ne andava ghiotta perfino la corte austriaca, e in particolare il principe di Metternich che se lo faceva spedire dal governatore asburgico. E il preferito dal Manzoni? Ovviamente, quello del forno delle Grucce, realmente esistito e che, in testa ai “like” dopo la citazione nei Promessi Sposi, non mancava di farne annuale omaggio all’influencer numero uno nella storia della Milano che fu.

In foto: Jacopo Fontaneto

 

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