Fresco di riconferma come rettore dell’Università Liuc Carlo Cattaneo di Castellanza, Federico Visconti parla delle priorità del suo nuovo ciclo, ma anche di come stiano evolvendo gli scenari di università e impresa
di Chiara Milani
Guarda l’università da accademico. Ma anche da padre, riflettendo su come si possano far tornare a casa tanti figli come il suo, che tendono a espatriare da quest’Italia. Federico Visconti, appena rinominato rettore dell’Università Liuc Carlo Cattaneo di Castellanza, ci spiega così la sua vision.
Come sta evolvendo il capitalismo familiare italiano, così presente anche nel Varesotto e nell’Alto Milanese, e quale contributo possono dare, in questo processo di cambiamento, i ragazzi che studiano Economia e Ingegneria gestionale?
E’ un tema fin troppo caldo, che rischia di raffreddarsi mentre spesso, anche nel nostro territorio, gli imprenditori pensano più a vendere le aziende che a farle crescere. Per uscire da questa situazione intravedo una strada attraverso alcuni giovani meritevoli, che hanno fatto esperienza fuori e ora stanno cambiando un po’ di regole del gioco, sapendo tenere in equilibrio la questione della proprietà e del management: ciò è documentato da un po’ di ricerche che stiamo facendo in Liuc da un paio d’anni.
Quali sono le difficoltà che un’università che voglia crescere e innovare incontra sia a livello istituzionale sia di mercato?
La prima sfida è concepire un’università come un’azienda, cioè sul mercato della formazione superiore, con studenti e famiglie che hanno attese per il futuro differenti da quando mi sono laureato io. E’ un mercato in profonda evoluzione, con meno laureati di altri Paesi e concorrenti svegli, che creano alleanze, propongono nuovi corsi di laurea, rafforzano gli stage. Quindi, per essere competitivi, noi dobbiamo investire nel patrimonio intangibile, Cioè in ricerca, in innovazione didattica, in servizi digitali e nei giovani. Senza questi ultimi, non si può crearlo. Ma è evidente che, assumendosi qualche rischio d’investimento, s’innesta qualcosa di positivo, come conferma l’incremento annuale delle nostre matricole.
Ecco, quanto sono rilevanti i giovani accademici, il ricambio dei ruoli, per far sì che l’Università italiana sia al passo con i tempi?
Le dico che abbiamo avviato pure il reclutamento di qualche professore, con il ritorno anche da fuori. Il nostro primo, significativo rientro di cervelli è Alessandro Creazza, che dopo 5 anni d’insegnamento in un’università inglese è entrato di ruolo da noi il primo di settembre: un risultato ottenuto anche vagliando la strada dei benefici fiscali, che è stato utilizzata anche per Balotelli e che forse, facendo crescere 10-15 ragazzi sulla logistica, genererà più valore del rientro di un importante calciatore.
Il nuovo ministro all’Università, per quanto all’inizio, è sulla strada giusta?
E’ appena arrivato… Comunque, penso che nell’insistere sull’importanza della ricerca sia sulla strada giusta. Ma non possiamo dimenticarci che non possiamo più attingere alla leva del debito. Inoltre, siamo un Paese sostanzialmente incapace di trade-off, il che significa che se c’è un’università in Italia che ha 220 professori e 400 matricole, da qualche parte bisognerà iniziare… se non cominciamo, non libereremo fondi.
Voi però avete chiuso Giurisprudenza…
E’ una decisione che non abbiamo vissuto a cuor leggero, ma la cosa ci dà soddisfazione manageriale, perché è la dimostrazione che quando non c’è la partita che puoi giocare, devi giocare su un altro terreno. Oggi noi abbiamo Economia, che cresce molto, ed Ingegneria, che è stabile ed è un po’ un peccato: è evidente che, avendo un concorrente vicino molto forte, si deve entrare in una logica di competizione su una nicchia, o con un differenziale di servizio oppure con incentivi particolari, tipo borse di studio.
A proposito dei nuovi ministri, quello alle Autonomie, Francesco Boccia, prima del trasferimento all’Università del Molise, ha insegnato qui per anni: finora non era mai successo che dalle fila degli accademici della Liuc uscisse un membro del Governo e per di più con in mano una partita importante per questo territorio… Non lo invita qui?
E’ del mio settore scientifico, ma io non l’ho incontrato. Posso dire che credo che il suo sia un tema importante: ho intravisto la discussione nell’angolo dei rettori, che ha avuto modo di confrontarsi sia con Maroni sia con Fontana, manifestando alcune aspettative, anche alla luce del flusso migratorio di studenti da tutta Italia, e ponendo alcune esigenze particolari nell’allocazione dei fondi o nella flessibilità dei piani di studio. Però ora, in questo nuovo scenario di Governo, chissà… Per adesso, comunque, all’inaugurazione dell’anno accademico ci sono Cottarelli e Ravasi, ma c’erano già prima. Ora siamo un po’ sotto per fare inviti.
Allora parliamo della sua riconferma: qual è la sua priorità per questo nuovo mandato?
Mi piacerebbe mettere mano a un nuovo ciclo di piano strategico, che preveda la people strategy, perché non la considero forma, bensì sostanza. Del resto, mi pare che i risultati del piano in corso, che rivediamo ogni anno, si siano visti.
C’è qualcosa che non rifarebbe?
Non sono sicuro di essermi giocato tutte le mie carte per far salire la consapevolezza del progetto universitario, che forse per un certo periodo della vita di questo ateneo è stata un po’ in soffitta: per diffondere questa cultura abbiamo fatto un lavoro ottimo, ma non ancora non eccellente. Cito Marchionne: “Tu quando torni a casa la sera devi avere la sensazione di aver fatto fare un passo in più alla tua istituzione”. Ecco: quando lascerò, vorrei lasciare un’istituzione che ha fatto passi avanti come tale e non perché c’è Visconti, perché sennò il meccanismo è che io debba star qua 25 anni. Invece, noi non possiamo pensare di perpetuare delle posizioni e di portarci dietro il cambiamento. Sono due cose che viaggiano con velocità differenti.
In foto: Federico Visconti