Scatola nera?

di Andrea Mallamo

Sabrina Giussani, presidente senior di Sisca (Società italiana scienze del comportamento animale) spiega come la tecnologia sia sempre più al servizio dello studio del comportamento del miglior amico dell’uomo

di Sabrina Giussani

Per tutta la prima metà del Novecento, il concetto di mente come scatola nera è rimasto una sorta di tabù inviolabile. L’antropocentrismo in vigore a quell’epoca poneva un confine ben definito tra uomo e animale non umano: l’animale era considerato un automa mosso da pulsioni (interpretazione psicoenergetica, proposta da Konrad Lorenz) o da condizionamenti (interpretazione associazionista, proposta da Burrhus Skinner), privo di un mondo interno e, di conseguenza, di una “soggettività”. In seguito, altri studiosi come Edelman e LeDoux, prendendo spunto dalle nuove teorie proposte dalle neuroscienze (l’insieme degli studi scientifici condotti sul sistema nervoso) e dalle scienze cognitive (che analizzano il funzionamento di un sistema pensante, sia esso naturale o artificiale), hanno manifestato interesse per conoscere che cosa c’è dentro la mente.

Convergenze e differenze

Il cervello è l’organo principale del sistema nervoso centrale, presente nei vertebrati e in tutti gli animali a simmetria bilaterale, compreso l’essere umano. La struttura che più differenzia quello dei mammiferi rispetto agli altri vertebrati è la corteccia cerebrale, il tessuto che costituisce la parte più esterna dell’organo. La corteccia conferisce al cervello di alcuni mammiferi il classico aspetto rugoso, con profondi solchi e circonvoluzioni. Questo organo si occupa, insieme al sistema endocrino, di regolare tutto ciò che è fondamentale per sopravvivere ed è sede delle funzioni cerebrali superiori come memoria, linguaggio, capacità di risolvere un problema e così via. Le differenze fondamentali tra il cervello del cane, di molti altri animali domestici e l’essere umano riguardano soprattutto l’estensione della corteccia prefrontale. Le dimensioni del cervello non sembrano svolgere un ruolo importante per quanto riguarda l’esecuzione di alcuni test cognitivi: la performance dell’essere umano, delle scimmie di grosse dimensioni (tranne i gorilla) e delle scimmie più piccole mostra differenze minime. Poiché l’anatomia del sistema nervoso centrale dell’essere umano, del cane, del gatto e di numerosi mammiferi è molto simile, le neuroscienze hanno preso in considerazione l’ipotesi che i “meccanismi” di funzionamento potrebbero essere gli stessi.

Nuove tecnologie

La ricerca scientifica nell’ambito del comportamento degli animali ha fatto passi da gigante nell’ultimo decennio grazie allo sviluppo della tecnologia. Nuovi strumenti d’indagine, sempre più perfezionati, come per esempio l’imaging a risonanza magnetica, hanno permesso di scoprire alcuni meccanismi di funzionamento del cervello del cane. Studi comparati, metodi impiegati parallelamente nell’analisi delle funzioni cognitive degli scimpanzé, degli altri primati non umani e, risalendo la scala zoologica, delle altre specie di mammiferi fino a quelle meno evolute, cominciano a fornire un nuovo e dettagliato quadro di somiglianze e differenze. Uno studio condotto da Berns nel 2012, grazie a tecniche di risonanza magnetica funzionale, ha dimostrato che il nucleo caudato (una zona cerebrale sede dei processi cognitivi) nel cervello del cane si attiva quando l’animale vede un segnale fatto dal proprietario che indica la presenza di un premio in cibo. Questa ricerca ha permesso di scoprire che il cane non apprende per associazione, ma grazie a un’attività cognitiva simile alla nostra. Lo stesso anno, Kujala e il suo staff hanno sottoposto esseri umani sia esperti sia non esperti del comportamento del cane a risonanza magnetica funzionale. Durante il test alle persone erano mostrate foto e video di cani e di esseri umani. Lo studio ha evidenziato che alcune cellule nervose chiamate neuroni specchio si attivano non soltanto alla vista di azioni svolte dalle persone, ma anche dai cani. Questo significa che la domesticazione del cane ha creato un legame così profondo che ha permesso la nascita di un sistema comunicativo comune. 

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