La riflessione di Anna Gervasoni, docente di Economia e gestione delle imprese alla Liuc di Castellanza e direttore di Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)
di Anna Gervasoni
Chi ha la passione per la corsa è un velocista o un maratoneta; il primo dà tutto nei 100/200 metri. Pura energia che si brucia velocemente. Il secondo, invece, dosa sapientemente le forze perché per percorrere quei 42 km e una manciata di metri: serve tanta energia, pazienza e testa. Il nostro Paese è come un runner che ora ha diversi traguardi da raggiungere; alcuni da velocista, come con i vaccini su cui si sta accelerando fortemente per arrivare a coprire 500mila persone al giorno e permetterci così di tornare il prima possibile a una nuova quotidianità fatta di relazioni sociali; altri da maratoneta, come l’attività da imbastire per trovarsi pronti quando ci sarà da lavorare per utilizzare i fondi del Recovery. Non si tratta solo di correre ma anche di rincorrere, in certi casi, alcune situazioni che non abbiamo colto al volo e che ora dobbiamo tentare di recuperare per colmare lo svantaggio accumulato. Parlo del tema infrastrutture e digitalizzazione, per esempio: abbiamo reti internet che sono arretrate e tra le peggiori. Ce lo dice anche il report Worldwide Broadband Speed League 2020: nella velocità di download dei documenti, per citare un caso, Spagna e Francia ci impiegano meno della metà del tempo che serve a un italiano. Questo significa che nelle attività lavorativa siamo rallentati dalla tecnologia che dovrebbe invece supportare il business delle imprese.
Liberare il potenziale italiano
Oggi abbiamo la possibilità di correre per liberare il potenziale italiano e rilanciare il Paese come è stato detto anche in un recente incontro organizzato dal Centro Studi di Confindustria. Abbiamo aziende che in questo periodo di pandemia hanno colto l’occasione per rivedere la propria governance e i processi produttivi, per allinearsi alle performance dei loro competitor internazionali e ora hanno bisogno di una spinta per ripartire di slancio. Secondo i dati Istat, nell’export, il tessile ha segnato nel 2020 un -19,5%, la vendita macchinari, un -12,6%. Per questi settori che tradizionalmente sono stati molto forti e hanno connotato l’Italia all’estero, serve un’accelerazione iniziale e questa la può dare il Governo, attraverso delle misure di supporto alle aziende e di alleggerimento fiscale per permetterle di avere la liquidità necessaria da investire nella ripartenza. La può dare anche il private capital con investimenti dedicati a quelle fasce di imprese che devono essere rimesse in carreggiata. La crisi di questi mesi le ha messe in ginocchio, oppure necessitano di capitali per la crescita come si evince anche dai dati annuali del private equity pubblicati di recente dal report AIFI in collaborazione con PwC. Due sono i segmenti di mercato, quello dell’expansion e quello del turnaround, più a rischio perché quasi scomparsi nelle attività di investimento del 2020. Sono però proprio loro che potrebbero dare un maggiore apporto in questo frangente. I dati mostrano che le operazioni di expansion, sono state 40 (-17%), con un ammontare pari a 354 milioni (-61%), quelle di turnaround, dedicate alle imprese in difficoltà, ha mantenuto un ruolo di nicchia, con solamente 9 operazioni e 172 milioni di euro investiti.
Nuova governance, nuovi capitali e nuovi obiettivi
Se si vuole essere competitivi nei mercati internazionali, continuate a innovare per presidiare le nostre quote di export, occorre promuovere il consolidamento di nuovi fondi dedicato al capitale per lo sviluppo, al capitale cosiddetto paziente, nonché i fondi di rilancio che potrebbero permettere a molte aziende, spesso tasselli fondamentali delle nostre filiere produttive, di non chiudere. Con una nuova governance, nuovi capitali e nuovi obiettivi si può tornare sul mercato più forti e strutturati, perché la ripartenza passa da qui, da quel sistema imprenditoriale che tutto il mondo ci invidia.