In vista delle feste, monsignor Claudio Livetti, già prevosto di Busto Arsizio, sottolinea come questo Natale ricorderà quelli di guerra e auspica per il 2021 il superamento degli “egoismi miopi” e la ”riconciliazione tra l’umanità e il creato”
di monsignor Claudio Livetti
Anno bisesto, anno funesto. Il proverbio dei nostri vecchi ha avuto ragione in questo anno, che passerà alla memoria dei tempi come il Quarantotto dell’Ottocento e il Sessantotto del Novecento. Se giocassi al lotto rischierei la terna secca: 48-68-20. Un anno di scoperta delle nostre fragilità e dei nostri molteplici talloni d’Achille di omerica memoria, di crollo della frenesia nel lavorare e nel godere e della vanità dei bei vestiti, che coprono la tristezza. È crollata l’illusione del consumismo sfrenato, che produce sonnambuli e sonnolenti. Si é rovesciato perfino il senso delle parole: la prossimità da valore é diventata incoscienza, la distanza da egoismo é diventata cura. Sembrava che nulla ci potesse far paura, adesso la paura sembra essere l’inquilino della nostra anima. Soffriamo il vuoto degli incontri, delle risate allegre, degli abbracci non dati. Soffre di più chi sente l’assenza dei propri cari, strappati nel modo più strano e atroce. Nessuno é risparmiato al termine di questa esperienza troppo evidenziata dai media.
Un Natale diverso
Dovrò celebrare la Messa in casa di riposo, nella chiesa vuota, in connessione televisiva coi singoli reparti rigorosamente blindati, ma sarò felice perché é il Natale del Signore. Rivivrò i cinque Natali di guerra, senza la Messa di mezzanotte: per premunirsi dagli attacchi dei bombardieri avversari vigeva la legge dell’oscuramento, nei Natali ‘43 e ‘44 ancora più inasprita dal severo coprifuoco, imposto dai dominatori invasori tedeschi. Si faceva ugualmente un po’ di festa in casa, dove, nonostante il razionamento dei viveri, la tavola era meno avara: la vecchia gallina, mai cotta abbastanza, e un assaggio di panettone, salvandone un quarto per farlo benedire a San Biagio. I vecchi ripetevano spesso: ”Signur, guarda giò!”, che si addice anche a noi oggi. Penserò con nostalgia alla riunione patriarcale del Natale scorso, con diciannove commensali tra nipoti, pronipoti e cinque bambini figli di pronipoti. Quest’anno purtroppo pranzerò in Casa di Riposo, mi siederò vicino a quella vecchietta che passa il giorno intero col viso contro la finestra. Cercherò di farle affiorare almeno un debole sorriso: è Natale!
Il nuovo anno: la guarigione
Speriamo di uscire dalla pandemia che sta affliggendo l’umanità. Ma sarà un’umanità non più sana, ma soltanto guarita. Con tante cicatrici. Quando arriverà il vaccino, non ci sarà più rischio per la salute. Quando arriverà la pioggia di milioni promessi, riprenderà il lavoro e guarirà l’economia dissestata. Non basteranno però queste risorse sanitarie e finanziarie. Occorreranno risorse umane capaci di ripresa e di cambiamento. In una delle nostre città campeggiavano striscioni con scritto: ”Non vogliamo tornare alla normalità, perché la normalità era la malattia”. Auspico un cambiamento di mentalità. Poiché l’esperienza del Coronavirus non é stata campanilistica, ma planetaria, più nessuno dovrà confondere il proprio mondo come “il mondo”, il proprio benessere come “il benessere”, la propria civiltà come “la civiltà”, la propria salvezza come “la salvezza”. Sarà un anno nuovo se porterà la buona volontà di superare egoismi miopi e sarà un anno nuovo che darà l’impulso ad un abbraccio tra tutta l’umanità (vedi Enciclica Fratelli Tutti) e una riconciliazione tra l’umanità e il creato. Altrimenti si realizzerebbero le parole severe di Papa Francesco: ”Peggio della pandemia c’é solo il rischio di sprecarla”.