Fare il sacerdote dell’oratorio al tempo del Covid-19 significa andare a parlare ai giovani là dove si (ri)trovano. Ossia, in rete. Ne è convinto il coadiutore del San Filippo Neri a Busto Arsizio, diventato da marzo a oggi una star del web, richiesta da Saviano così come dai Ferragnez
di Chiara Milani
La prima volta che l’ho incontrato aveva l’abito talare inzuppato di pioggia. Nel bel mezzo di un temporale, don Alberto Ravagnani stava suonando ai campanelli della parrocchia di San Michele a Busto Arsizio – compreso il mio – per la benedizione di Natale. Da allora sono passati soltanto 12 mesi. Ma sembra una vita fa. Perché nel mezzo è arrivata una pandemia che ha reso troppo pericoloso per i sacerdoti entrare nelle case. Ma anche perché lui non si è perso d’animo. E a marzo a deciso che, se i giovani non potevano più andare da lui all’oratorio San Filippo Neri, sarebbe andato lui da loro. Parlando il loro linguaggio e usando i loro canali. Così, ha caricato su Youtube un suo video in cui, in modo molto schietto, spiegava a che cosa servisse pregare. Ed è stato subito boom di follower.
Dalla Quaresima all’Avvento 2020, per questo influencer 27enne con la tonaca è stato un susseguirsi di richieste d’incontro da parte di vip, dai Ferragnez a Saviano
Don Alberto, in questo Avvento in cui tanti si sentono un po’ smarriti, per coloro che sentono la mancanza della tradizionale Messa di mezzanotte, ma anche per chi forse più di prima potrebbero avvertire il bisogno della fede e per i tanti, soprattutto tra i giovani, per cui Natale ha sempre e soltanto significato regali, qual è il messaggio?
Questo è un Natale caratterizzato da una grande attesa, che propriamente la dinamica tipica dell’Avvento, l’attendere. L’attesa di un vaccino, di un ritorno alla normalità, del momento fatidico in cui finalmente ci toglieremo le maschere alla faccia. Questa dinamica dell’attesa è quella propria del Natale, però il Natale cristiano ci permette di spostare il soggetto di questa attesa. Non solo il vaccino, non solo la libertà, non solo l’assenza di mascherine. È troppo poco. Tutte queste cose ci riporteranno al punto di partenza, prima della pandemia, quando comunque le persone erano infelici, quando i problemi c’erano, quando ci si lamentava, si lottava perché le cose non andavano bene. Sicuramente serve un vaccino. Sicuramente serve la libertà, il diritto di muoverci liberamente senza vincoli di distanze eccetera. Però credo che non basti. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci salvi, di un motivo per vivere. Ecco, il ministero del Natale è questa cosa qui: attendere qualcosa che ci salva e possiamo puntare a qualcosa di più grande del solo vaccino.
Ma com’è cambiata la vita di quel sacerdote che suonava i campanelli sotto la pioggia battente per la benedizione natalizia dopo il successo da Youtuber?
Allora, io credo di essere fondamentalmente sempre lo stesso. È solo che adesso mi gira intorno più gente. Lo stesso atteggiamento che avevo prima nella vita che si svolgeva in parrocchia, nei miei tentativi di agganciare i ragazzini che andavano al vicino Museo del Tessile, ce l’ho pure quando parlo sui social quando li espongono così pubblicamente. E ha funzionato. E’ un linguaggio diverso per dire le stesse cose. Poi sul mondo dei social è stato piuttosto dirompente, per cui di fatto mi ha buttato in un mondo pieno di contatti. A parte i giornalisti, le interviste… ho conosciuto ad esempio tanti YouTuber, tante persone che creano contenuti e sono rimasto sorpreso da queste vite belle. E tante, tante persone che mi scrivono, mi contattano, mi cercano. Fino a questo punto di vista sono molto contento perché ho avuto molte possibilità di relazione. Qualcuno direbbe relazioni virtuali… ni. Perché dietro gli schermi, dietro un messaggio c’è una persona: ricevo tante confidenze, tante richieste di aiuto, di una parola… e sono autentiche. Forse non ci siamo mai visti personalmente, però la cosa che poi noto è che se anche io queste persone non li ho mai viste in faccia, queste persone in realtà hanno imparato a conoscermi, perché mi vedono spesso sui social network. Quindi un certo tipo di rapporto si è creato, una certa fiducia credo che si sia creata. E questa sono convinto che possa essere un canale dove possono passare il Vangelo, le migliori intenzioni, l’amore eccetera. Poi per il resto la mia vita è la stessa, nel senso che comunque abito in oratorio, le attività della parrocchia vanno avanti ugualmente. Proviamo a fare i preti al tempo del Covid. Devo dire questo che, da marzo ad adesso, siamo sempre rimasti più o meno dentro la bolla della pandemia, per cui in realtà la normalità mi manca da un po’… per cui sarebbe interessante capire cosa vuol dire fare il prete e lo youtuber al tempo della normalità. Però vedremo, adesso è presto da dire.
Nel frattempo, anche nella Chiesa esistono anime differenti, quantomeno una più progressista e una più tradizionalista. Come ha preso la Chiesa questa tua attività da influencer?
La Chiesa è fatta di persone diverse, con età, provenienze, esperienze e idee diverse. Per cui, ovviamente, magari a qualche sacerdote più anziano e che è totalmente avulso da queste forme di comunicazione, il mio modo è sembrato un po’ strano. Magari sono rimasti un po’ perplessi e si saranno chiesti se veramente possa essere efficace, servire a qualcosa. Altri invece hanno visto la cosa con grande entusiasmo, perché magari si sono accorti che il proprio sulle persone che lo facevano pratica a intercettare questa modalità ha funzionato. Io comunque mi sono sentito davvero stimato, accompagnato, anche proprio dalla Chiesa ufficiale, dai miei superiori, dalla Curia di Milano. E questo è bello, nel senso che comunque questo servizio lo sto facendo da prete milanese, e tutti i miei sforzi, in pratica il mio lavoro, i miei successi, ma anche i miei sbagli, sono fatti in famiglia.