La necessità di una svolta nelle persone, ma anche nei processi. E’ la necessità individuata da Bruno Scuoto, presidente di Fondimpresa, il principale fondo interprofessionale italiano per la formazione continua, partecipato da Confindustria, Cigl, Cisl e Uil
di Chiara Milani
E’ una vera e propria rivoluzione, quella scatenata dal Covid-19 nel mondo della formazione. E non soltanto per il lungo trasloco forzato online. Ne parliamo con Bruno Scuoto, presidente di Fondimpresa, il principale fondo interprofessionale italiano per la formazione continua, partecipato da Confindustria, Cigl, Cisl e Uil.
In che modo ciò che sta accadendo sta cambiando e cambierà il vostro modo di supportare le aziende?
C’è un effetto pratico, organizzativo, diretto che più facilmente immaginiamo e che rappresenta un cambiamento radicale dell’approccio perché ovviamente quando si parla di formazione, si parla di aule ed è inutile che io ricordi quello che sta accadendo per le scuole. Quello che forse meno immaginavamo, ma e’ diventato assolutamente un elemento preponderante è anche un effetto culturale: questa situazione unica, universale e così ampia nel tempo e nei luoghi, è stata una cartina al tornasole della capacità delle persone di utilizzare elementi di innovazione che possono essere appunto la possibilità di fare delle azioni da remoto e anche la possibilità infrastrutturale.
Ma per supportare le azioni del nuovo corso, penso allo smart working o alla sharing economy, on serve anche un cambio strutturale di prospettiva?
Serve assolutamente un cambio di prospettiva. Serve far comprendere alle persone che non sono soltanto i profili professionali a dover cambiare ed essere più innovativi. Per inciso, nella ricerca spasmodica di figure professionali sul mercato del lavoro, che esiste anche se noi parliamo molto più spesso nei tg disoccupazione, le aziende stentano a trovare alcuni profili non soltanto digitali, ma anche quelli tradizionali, che hanno una una situazione diciamo di arretratezza formativa su elementi di un’attività svolta in maniera molto tradizionale, non tecnologica o innovativa. Il vero salto culturale è comprendere che in questo momento occorre un cambiamento sia nelle persone sia dei processi, che vanno digitalizzati e rimodernati. La stessa formazione si deve sempre più portare su piattaforme ed elementi di fruibilità immediata.
Sull’importanza del digitale concordano, almeno in questo momento, tutti. Però il dato di fatto è che secondo le statistiche l’Italia è all’ultimo posto in Europa per competenze digitali. Come si colma questo gap?
Detto in maniera molto diretta, il lockdown può aver rappresentato una sveglia du questo fronte, perché siamo andati a valutare questa arretratezza con le nostre mani. Bisogna da un lato introdurre elementi di tecnologia digitale da molto prima di quanto si faccia oggi: si dà per scontatola conoscenza e la capacità di tutti verso questa innovazione perché i nostri bambini hanno subito un impatto di utente tecnologico. Di fatto, però, ciò non si studia se non a livelli diciamo universitari o post diploma. Questa sicuramente è una una situazione che non può essere lasciata soltanto alla formazione, ma deve entrare anche nei processi di istruzione dei nostri giovani e quindi secondo me si deve abbassare l’età in cui i nostri ragazzi hanno a che fare con questi elementi.
In foto: Bruno Scuotto è stato ospite della nostra trasmissione tv quotidiana Le interviste di VareseMese