Tra i trenta maggiori innovatori under 30 nell’ambito dell’informazione digitale, la Business development manager & Sales director per il Financial Times, di recente speaker all’UN Conference della Liuc Business School a Castellanza, parla dei ponti da costruire per progettare il futuro: tra studi classici e scientifici, scuola e azienda, ma anche lavoro e sfera privata
“Bisogna soltanto sapere come investire il proprio tempo: toglierei forse 20 minuti da Instagram e uscirei in un bel bar e conoscere gente nuova e questo lo possiamo fare tutti, indipendentemente dal nostro ruolo all’interno di un’azienda”. Per Virginia Stagni, la più Business development manager & Sales director per il Financial Times, nonché prima italiana aver vinto il premio European Prize Winner, la conciliazione tra lavoro e vita privata è una questione di scelte: “Se uno è un buon manager vuol dire che sa gestire le cose, vuol dire che sa anche gestire il tuo tempo e quindi l’investimento che va fatto da un punto di vista lavorativo deve essere semplicemente replicato nella vita privata”. Ovviamente, la più giovane manager in 130 anni di storia del prestigioso quotidiano economico-finanziario britannico, di recente tra gli speaker all’UN Conference della Liuc Business School a Castellanza, sa benissimo che il lavoro rappresenta una grande fetta della propria esistenza: “Parliamo dell’80% della nostra vita spesa non ambito lavorativo: è quindi anche importante sapersi divertire sul lavoro, creare connessioni con persone che hanno la nostra stessa passione e questo deve essere forse anche la visione del futuro del lavoro”. La pandemia, di certo, ha contribuito anche a far acquisire una maggiore consapevolezza in quest’ambito: “Dopo il Covid-19, con la mancanza di socialità e contatto umano, perché non immaginare di essere se stessi anche all’interno delle aziende? Quindi creare in un certo uno spaccato della propria vita privata anche all’interno di quello che è il proprio ruolo”. Se la nostra interlocutrice si sente molto libera da questo punto di vista, avendo la fortuna di lavorare per un’azienda che secondo quanto assicura glielo permette, tutti possono comunque provarci.
Classe 1993, mi trovo davanti a uno dei 30 maggiori innovatori under 30 nell’ambito dell’informazione digitale che, nell’era della comunicazione, è assolutamente vitale. Come vede il futuro per questo settore così strategico?
Il futuro delle aziende passa dalle persone. Se mi chiedi che cosa significa il futuro delle imprese editoriali, si parla di nuovi talenti ibridi, che entrano all’interno dell’azienda. Quindi, non solo talenti giornalistici, ma anche che possono ricoprire e ovviamente andare in un certo senso a interagire con diverse parti del business editoriale. Perciò parlo di data analyst, coders e ingegneri
Che cosa significa esattamente talento ibrido?
Significa riuscire forse a comprendere come curiosità intellettuale, anziché un difetto, quelli che sono percorsi ibridi di studio. I ragazzi fino a qualche anno fa venivano incanalati in quello che è un percorso curricolare che segue un determinato profilo: chi ha fatto economia e finanza si deve proseguire con una specializzazione sempre come Finanza e pure un’NBA e poi si deve andare o in consulenza o in banca o in gruppi finance per applicare quello che si è imparato all’interno dell’università. Però io non so se davvero all’interno dell’università s’imparino necessariamente i mestieri: forse si impara a entrare in contatto col nuovo, col mondo, essere aperti, essere curiosi. Quindi, il talento ibrido è forse quello che ha avuto anche un percorso contaminato: io porto il mio, che è partito da studi classici per finire a fare Economia, Management e Finanza e poi è terminato in Sociologia e adesso inizierà un percorso in Filosofia, proprio per dire che per riuscire a tracciare quello che il futuro delle imprese di oggi e del domani abbiamo bisogno di menti aperte, appunto ibride, contaminate e questo diciamo che è un valore nuovo che deve essere raccontato sia a livello di impresa sia libero di talenti, quindi dare questa l’opportunità alle ragazze e ai ragazzi di comprendere questi nuovi percorsi.
Ecco tanti giovani oggi vedono poche possibilità in Italia: qual è il suo consiglio per gli studenti? Fare un percorso ibrido di studio inteso anche come un po’ in Italia e un po’ all’estero come ha fatto lei, laureandosi qui e poi facendo un master alla London School of Economics, oppure andarsene direttamente a studiare in un’altra nazione?
Io non posso che continuare a spingere per il fatto che la nostra educazione, quello che è il nostro percorso scolastico con tutti i pro e contro, ha un valore: siamo forse l’unico sistema scolastico che offre a tante ragazze e ragazzi un percorso plastico, meno settorializzato per esempio di quello anglosassone, e questa apertura mentale, questo umanesimo è un asset strategico unico. Quindi, tornando al mio mestiere, qual è il ruolo delle news, dei giornali in un ambito così contaminato, ma soprattutto così difficile? Essere un ponte: noi abbiamo un dialogo diretto con le scuole, perché molte volte i giornali offrono il loro servizio alle classi tanto quanto agli studenti, e le imprese editoriali hanno anche contatti da un punto di vista commerciale con le aziende del territorio. Ecco, dobbiamo sempre più diventare un ponte, uno strumento di colloquio tra nuove generazioni e il mondo dell’impresa.
In foto: Virginia Stagni all’UN Conference della Liuc Business School