Il pellegrinaggio: viaggi con una valenza sacra

di Milani

Monsignor Claudio Livetti, già prevosto di Busto Arsizio, ricorda la differenza tra il turismo religioso e le visite ai santuari per motivi religiosi, a scopo di pietà, votivo o penitenziale: “L’accesso a questi luoghi deve essere caricato di una valenza di autentica fede e di speranza, come coraggioso e convinto affidamento a Dio”

L’essere umano è di sua natura itinerante. Il cammino fu subito realizzato dai primi uomini che abitavano la terra. Era necessario spostarsi per sopravvivere: il cacciatore cercava altre prede, il contadino altre terre, il pastore altri pascoli, il pescatore altre acque, il fuggiasco luoghi di pace. La situazione odierna non è molto diversa da allora: l’umanità si muove per fuggire dalla fame e dalla guerra, per conoscere altri luoghi e altri popoli, per riposarsi e divertirsi, per concludere affari.
Mentre tutti questi viaggi hanno un concreto obiettivo, quello della ricerca del benessere e di una crescita personale, il viaggio del pellegrino ha una valenza sacra. Il pellegrino cammina per esprimere il proprio senso religioso e per migliorarlo.
I nostri fratelli maggiori, gli Ebrei, camminarono verso la libertà, lasciando alle spalle la schiavitù, e verso Dio, il sommo bene, lasciando alle spalle il male, soprattutto quello morale, il peccato.
Considerando Gerusalemme dimora di Dio, soprattutto con il suo Tempio, amavano pellegrinare verso quella meta. Se per qualche motivo erano costretti a celebrare la Pasqua in altro luogo, non mancava l’anelito nostalgico: “Ma l’anno prossimo … a Gerusalemme!” Gesù stesso fu pellegrino a Gerusalemme, all’età di dodici anni. Vi ritornò poi a trentatre anni per celebrare la sua Pasqua, la Pasqua nuova e vera: la sua morte e risurrezione.
I cristiani dei tempi antichi conoscevano tre mete: Gerusalemme, Roma, Santiago di Compostela. Andavano a Gerusalemme e tornavano con una palma, simbolo di vittoria: la fede si era consolidata accanto al Santo Sepolcro di Gesù, liberato dai crociati. Pellegrinavano a Roma, alla tomba di San Pietro crocifisso sul colle Vaticano. Questi “Romei” facevano un bagno di fede accostandosi alla tomba del vicario di Cristo. Camminavano verso San Giacomo di Compostela, l’Apostolo, fratello di San Giovanni Evangelista, che è stato il primo dei dodici a suggellare la sua fede col sangue, nell’anno 42.
Le mete dei pellegrinaggi si sono moltiplicate nella storia della Chiesa, soprattutto verso i quattro grandi santuari mariani più noti: Lourdes, Fatima, Guadalupe, Chestochowa e verso i celebri santuari italiani di Loreto, Sant’Antonio di Padova e San Pio da Petralcina. Per noi è importante il Sacro Monte di Varese.
Affinché l’accesso a questi luoghi non sia soltanto turismo religioso, ma autentico pellegrinaggio, deve essere caricato di una valenza di fede e di speranza.
Noi pellegrini esprimiamo la nostra fede. Una volta io pregavo: “Signore, aumenta la mia fede”. Adesso comprendo che il problema non è se la fede è tanta o poca ma se è autentica o illusoria, efficace o fasulla.
La speranza è un passaggio dalla fiducia infantile a un coraggioso e convinto affidamento a Dio. Il difetto di speranza crea non senso, noia e nausea. La speranza cristiana, al contrario, fa fuggire la desolazione di un senile “ormai” ed apre ad un giovanile “ancora”. Il pellegrino, l’uomo “viator”, non guarda alle spalle, ma vede la strada che ha davanti.

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