Scalatore, cineasta, scrittore. L’ottantacinquenne austriaco è stato di recente ospite del Cai (Club alpino italiano) varesino, che gli ha reso omaggio proiettando il documentario “Verso dove”, che racconta la sua visione del mondo
di Alessia Zaccari
È l’unico scalatore vivente ad aver compiuto due prime ascensioni assolute oltre gli 8mila metri. Mai, prima di lui e dei suoi compagni di spedizione, un uomo era riuscito a raggiungere la vetta del Dhaulagiri e del Broad Peak, la settima e la dodicesima montagna più alte del mondo, nel 1957 e nel 1960, senza ossigeno e senza portatori. Nel 1978 ha realizzato il primo documentario con sonoro in sincrono durante la scalata di due Ottomila, l’Everest e il Makalu. Ha vinto la Genziana d’Oro al Film Festival di Trento nel 1989 e il Piolet d’Or alla carriera nel 2013. Sul Monte Bianco ha iniziato la carriera di cineasta e ai piedi del Monte Rosa si è sposato con la prima moglie, la varesina Maria Antonia Sironi (detta “Tona”), con cui ha poi compiuto molte esplorazioni. Di recente il Cai varesino gli ha offerto un tributo proiettando “Verso dove”, un documentario che racconta la sua visione del mondo.
Kurt Diemberger, nella sua vita ha esplorato molti luoghi del mondo, ma con Varese ha mantenuto un legame speciale…
Già da ragazzo mi piaceva fare conferenze e venivo spesso in questa zona tra il Monte Rosa, il Campo dei Fiori e il lago di Como. A Varese, a casa di Tona, abbiamo fatto il montaggio del primo film sul Monte Bianco, che poi vinse il primo premio al Trento Film Festival nel 1962. Lavoravamo anche di notte, per non registrare il rumore delle automobili e ai tempi si tagliava la pellicola con le forbici. Le cose sono andate verso un’esistenza molto creativa, anche le nostre figlie hanno ereditato un grande spirito di avventura e di creazione e questo mi rende molto contento ancora oggi.
Le sue scalate sono state non solo imprese fisiche, ma esperienze di creatività e spiritualità, come racconta nel suo ultimo libro, “Il settimo senso”.
La montagna esige il silenzio. Non è possibile scalare una vetta senza sentire il concetto del sacro. In quei posti si sente lo spirito di quello che c’è sempre, in tedesco si dice “L’essere che sta fluttuando in giro”, che c’è senza fine, sparisce e ritorna anche nell’universo, un essere che è una continua creazione.
Ci sono luoghi nel mondo in cui ha provato questa sensazione con maggiore intensità?
Sì. Nella foresta ai piedi del Makalu (nella catena dell‘Himalaya, al confine tra Nepal e Tibet). Stavo male e mi sono rifugiato lì. Poi sono guarito e mi ha preso una forza così incredibile che nel giro di quindici mesi sono riuscito a scalare tre Ottomila. Non ho una spiegazione. Potrei chiamarlo “Power place” come dicono gli inglesi, un luogo dove si concentra l’energia. Ancora in cima all’Everest mi sono buttato giù sulla neve ringraziando… gli dei? Ringraziando quella forza inspiegabile che mi è pervenuta laggiù sotto il Makalu.
Nella foto: Kurt Diemberger immortalato da Hermann Warth