Anna Letizia Monti è agronomo e in passato ha presieduto l’Associazione italiana di architettura del paesaggio. Intervistata dal floral designer gallaratese Marco Introini, ci offre spunti di riflessione interessanti per il nostro territorio
di Marco D. Introini
Per vedere meglio un territorio a volte devi guardarlo da fuori. E il lato verde di una provincia non fa eccezione. Per questo, in occasione dell’arrivo della primavera, abbiamo intervistato Anna Letizia Monti, esperta di progettazione di parchi, giardini, terrazzi e riqualificazioni ambientali e co-autrice del volume Architettura del paesaggio in Italia.
Intervistato da VareseMese, riguardo all’architettura del paesaggio, Philippe Daverio ha auspicato “un’azione drastica, che richiede un’intelligenza progettuale che spesso non esiste”. Lei concorda col noto storico dell’arte?
Uno dei limiti italiani degli ultimi quattro decenni è proprio di avere una progettualità a gettata ridotta, mentre per fare grandi progetti ne serve una di lungo periodo. Non si può pensare allo sviluppo di una città nell’arco di un mandato elettorale sapendo che, siccome il mondo cambia vorticosamente, bisognerà poi intervenire di continuo nel corso degli anni. Una visione di questo tipo manca a tutta la classe politica attuale, mentre invece è stato un cardine dello sviluppo del nostro dopoguerra.
Varese ha tanti scrigni segreti. Iniziative come il festival del paesaggio Nature urbane vanno in direzione di una nuova condivisione del bello: che cosa ne pensi?
In quella che è la mia esperienza come presidente dell’Associazione italiana di architettura del paesaggio e come cittadina di Bologna, si va in questa direzione. Porto alcuni esempi: con la nostra associazione nel 2010 per fare conoscere Pietro Porcinai nel centenario della sua nascita, organizzammo l’apertura di 20 luoghi verdi che aveva progettato, chiamando l’iniziativa Giardini e paesaggi aperti: ebbe un successo talmente grande di pubblico che è diventata una manifestazione riproposta in tutta Italia con l’apertura di tanti spazi verdi che normalmente non sono fruibili dal pubblico. A Bologna addirittura la manifestazione Diverdeinverde, nata nel 2014 è arrivata a generare un flusso turistico di persone da fuori regione e dall’estero, interessate a queste aperture straordinarie e a tutti gli eventi culturali collegati.
La docente del Politecnico di Milano Katia Accossato ha scritto sulla nostra rivista che per salvaguardare il Lago di Varese bisogna intervenire, ma con buonsenso, perché un approccio troppo conservativo allontanerebbe gli attori che oggi lo mantengono vivo…
Nello statuto della nostra associazione parliamo di conservazione attiva degli spazi aperti, proprio perché è una necessità. Troppo spesso in Italia si parla di conservazione tout court e questo non può essere una modalità socialmente ed eticamente sempre apprezzabile: è necessario invece avere una visione che mantenga quelli che sono gli elementi fondanti e caratterizzanti di un luogo, però prevedendo e immaginando necessariamente attività che conservino e allo stesso tempo favoriscano il legame della popolazione con questi luoghi, che viceversa potrebbero essere visti come elementi immobili all’interno di un museo.
La sensibilità di una donna nella progettazione del paesaggio può portare valore aggiunto?
Trascendendo dalla questione di genere, pensando alla multifunzionalità degli spazi forse noi siamo un po’ più agevolate per la capacità, insita nel nostro Dna, di pensare e fare più cose contemporaneamente.
Peraltro, la capacità di avere una visione d’insieme è già insita in chi si occupa di architettura del paesaggio, poiché spesso bisogna tenere le fila di un team di professionisti diversi: forse in questo l’essere donna può in alcuni casi agevolare.
in foto: Anna Letizia Monti (Ph: Augusto Betiula fotografo)