Per capire come comportarci durante la bella stagione, abbiamo intervistato Paolo Grossi, direttore delle Malattie Infettive a Varese e docente dell’università dell’Insubria, che fa parte della task force governativa antiCovid
di Chiara Milani
E’ una via all’insegna del buon senso civico, quella indicata dal professor Paolo Grossi – l’infettivologo varesino chiamato nella task force governativa antiCovid – per uscire dal tunnel dell’emergenza Covid-19. Senza passare l’estate chiusi in casa o soffocati dalle mascherine sotto il solleone, ma nemmeno gli uni attaccati agli altri.
In questo periodo, sia i politici sia i giornalisti, si sono affidati molto agli esperti. Però c’è una gran confusione: mascherina si, mascherina no, il virus con il caldo è meno aggressivo, anzi no… Insomma, tante persone si trovano disorientate. Con il rischio che poi, così facendo, i comportamenti non siano quelli adeguati. Allora, qual è la situazione reale?
Concordo sul fatto che purtroppo la comunicazione è stato uno degli aspetti più negativi durante questa pandemia, che si è creata una grande confusione non soltanto nelle persone comuni, ma anche nei tecnici, nei medici: molte persone mi hanno chiesto chiarimenti proprio perché i messaggi discordanti che venivano da diverse fonti, ovviamente hanno creato molta confusione. La situazione attuale è certamente una situazione nettamente migliorata. Stiamo tuttora registrando l’effetto delo lockdown, proprio perché il
numero di casi legati proprio alla riduzione dei contatti e quindi della possibilità di trasmissione dell’infezione, ha consentito di arrivare a questo punto. Il virus non è mutato. Il virus non è più bravo se c’è caldo o freddo, non se ne fa un baffo di quello che sono le temperature e l’umidità e tassi di umidità. Quindi, il virus comunque è rimasto immutato. Quello che si sta verificando in questo momento, dal Brasile agli Stati Uniti, è un qualcosa che ci dà la misura di come effettivamente la situazione abbia come protagonista un agente virale con tutta la sua patogenicità, tutta la sua virulenza.
Che cosa consiglia?
In questo momento è necessario mantenere un’attenzione nei confronti di comportamenti che potrebbero di nuovo riportarci indietro nel tempo. E il comportamento da seguire è quello di mantenere una distanza con le persone, le mascherine negli ambienti chiusi sicuramente sì devono essere indossate, anche se fastidiose. E’ chiaro che se una persona va in spiaggia a prendere il sole non lo prende con la mascherina, però la cosa importante è che abbia un’adeguata distanza nei confronti delle altre persone che eventualmente sono vicine. In questo modo possiamo vivere comunque questo momento nel modo più sereno possibile, evitando di contrarre o di far contrarre ad altri eventuali infezioni che potrebbero avere severe conseguenze proprio sulla salute dei cittadini.
Senta, la Lombardia è stata la regione più colpita, in compenso la provincia di Varese, dove lei opera, è stata quella lombarda con la minore incidenza… Lei come si spiega entrambi I fenomeni?
In realtà se è vero che noi abbiamo avuto meno casi rispetto ad altre province come Bergamo e Brescia, che certamente hanno avuto un impatto piu’ più pesante: non è che non abbiamo avuto casi, perché anche soltanto qui in ospedale a Varese abbiamo governato oltre mille pazienti nell’arco di tre mesi, quindi comunque un impatto molto significativo su quello che è stata la gestione dell’assistenza ospedaliera. Devo dire che comunque, al di là di tutte le polemiche e strumentalizzazioni politiche, in realtà io credo che la Lombardia abbia risposto egregiamente a questa cosa che ci ha travolto inaspettatamente, perché non ci aspettavamo oggettivamente che si verificasse una cosa di questa portata. Perché a Varese meno che in altre province? Questo onestamente è difficile poterlo dire con certezza. Noi sicuramente abbiamo avuto l’inizio della pandemia in
ritardato di almeno una decina di giorni rispetto alle altre province. Io all’inizio ricoverare pazienti che venivano da altre città, come Bergamo e Crema in modo particolare, dove erano già collasso quando noi qui ancora non avevamo avuto un singolo caso. Forse questo ritardo è riconducibile
a diverse circostanze che possono anche essere legate al tipo di attività che si svolgono all’interno di questa provincia… Penso alla provincia di Bergamo, in modo particolare la zona della Val Seriana che si caratterizza per un’elevata presenza di industrie tessili che probabilmente hanno avuto rapporti con la Cina più di quanto non sia magari l’industria che incide sul territorio della provincia di Varese. Quindi magari è stato meno facile l’accesso di persone contagiate, sia italiane sia cinesi… credo, dunque, che sia proprio legato un po’ anche alla tipologia di insediamenti industriali che abbiamo nella nostra area rispetto ad altre province della Lombardia. Ma sono soltanto ipotesi: non ho elementi a supporto.
Comunque è interessante cercare di capire, anche in un’ottica futura… infatti, dobbiamo davvero aspettarci in autunno la tanto temuta seconda ondata del contagio?
E’ difficile fare previsioni accurate, perché nessuno lo può sapere esattamente… Certamente il periodo estivo favorisce lo stare all’aria aperta e quindi riduce la possibilità di contatti in ambienti chiusi, cosa che invece potrebbe verificarsi… Si verificherà sicuramente nei mesi autunnali, proprio perché le condizioni climatiche inducono a questo tipo di
diciamo comportamento che ci porta a stare più in ambienti chiusi. Questo si accompagna sicuramente a una seconda ondata? Non lo so, non sono in grado di poterlo dire. Mi auguro caldamente che ciò non accada, perché comunque non nascondo che non mi piacerebbe ritornare in quella
dimensione che abbiamo da poco lasciato, che è veramente molto pesante, per i pazienti pesanti così come per tutti gli operatori sanitari che devono fronteggiare situazioni così gravi.
Certamente non saremo più così impreparati come lo siamo stati all’inizio e quindi magari avremo modo di gestire meglio.
Se la nuova ondata dovesse arrivare, lei che è nella task force governativa consiglierebbe ancora di bloccare l’Italia oppure che cos’altro si potrebbe fare?
Non lo so, mi auguro non sia necessario, anche perché comunque se il lockdown ha avuto un aspetto sicuramente positivo nella riduzione drastica dei casi, dall’altro ha avuto delle conseguenze economiche molto pesanti e quindi io mi auguro caldamente che ciò non si renda necessario.
Però dipenderà da quella che sarà l’evoluzione, dal senso
civico che ognuno di noi metterà in campo per cercare di evitare situazioni che possono favorire la disseminazione.
Certamente, ciò potrà contribuire a evitare di trovarsi di
nuovo della situazione in cui ci siamo trovati.
Quindi serve responsabilità sociale individuale?
E’ proprio il comportamento dei singoli che deve essere responsabile, proprio perché purtroppo si nota che la gente è stanca, ha subìto a lungo questa segregazione prolungata e quindi ovviamente tende ad avere il desiderio di liberarsi da questa cosa e magari anche un po’ eccedere rispetto a quello che sarebbero gli opportuni comportamenti. Invece bisogna ancora evitare assembramenti, perché questo può rischiare di riportarci in quella situazione. Ribadisco: non dico di andare in spiaggia con la mascherina, perché non ha senso. Però se vado al bar e c’è tanta gente, magari sì la metto… proteggo me stesso e gli altri, qualora io inconsapevolmente possa essere stato infettato”.
In foto: Paolo Grossi in un’immagine d’archivio