Il 25 novembre è la Giornata mondiale contro la violenza che colpisce il genere femminile. Eugenia Trotti, ricercatrice e professore aggregato di Psicologia Clinica all’Università degli Studi dell’Insubria, spiega come anche nel Varesotto questo grave problema crei tante, troppe vittime
di Eugenia Trotti
La violenza di genere, fisica e sessuale, domestica e extradomestica, è un problema centrale di sanità pubblica e di protezione dei diritti umani: una piaga sociale che colpisce 1 donna su 3 in tutto il mondo, a prescindere dall’appartenenza etnica e culturale. In Europa è la prima causa di morte e invalidità per le donne tra i 16 e i 44 anni. E la provincia di Varese non è affatto esente da questo dramma.
Ferite profonde difficili da guarire
Umiliazione, paura, vergogna e colpa sono i segni profondi della violenza, che ledono la personalità delle vittime. Il silenzio e la negazione sono tentativi di auto-protezione: divengono parte del problema e hanno effetti deleteri sulla salute mentale e fisica sia di chi subisce sia di chi assiste alla violenza.
Un fenomeno ancora misconosciuto
Il fenomeno rimane in gran parte misconosciuto: tante situazioni taciute e non denunciate si delineano quotidianamente in famiglia, a scuola, sul lavoro. Gli autori della violenza, mossi da motivazioni personali che non possono essere generalizzate, vanno individuati e fermati, sentendosi altrimenti legittimati da un contesto sociale che reagisce con indignazione alle notizie di cronaca, ma che di fatto tollera, dimostrandosi collusivo e impotente.
Mano tesa a chi soffre
Riconoscere l’esperienza delle vittime e comprenderne l’impatto traumatico sono soltanto i primi passi del processo di “guarigione”. L’uscita dalla violenza comporta lunghi percorsi di assistenza e di tutela, cui partecipano tutte le istituzioni sociali, sanitarie e giuridiche.
L’Università dell’Insubria è da anni impegnata in questo ambito. Ha promosso con l’Associazione Amico Fragile Onlus il progetto che ha portato alla costituzione di un nuovo Centro Anti-Violenza (Cav). Questo, secondo un protocollo sottoscritto con l’Asst Sette Laghi e la Procura Generale di Varese, opera in ospedale ed è parte della Rete anti-violenza interistituzionale (capofila Comune di Varese): fornisce aiuto multi-specialistico alle vittime sia nell’immediatezza del fatto che nel percorso di uscita dalla violenza.
Numeri da brividi
Negli ultimi 7 mesi sono state assistite dal Cav 48 donne (età media: 41 anni; 31 italiane e 17 straniere, di cui 6 con cittadinanza italiana): 33 sono giunte in Pronto Soccorso, 4 hanno subito violenza sessuale, 2 sono state inviate in Casa Rifugio e 5 hanno trovato riparo a casa di conoscenti.
Educare alla non violenza
Il Cav è impegnato anche nella formazione degli operatori e nella prevenzione, con interventi di sensibilizzazione sul territorio e nelle scuole. Contrastare la violenza significa infatti rivolgersi soprattutto alle nuove generazioni con una capillare e continua opera di divulgazione e di educazione alla cultura della non-violenza, centrata su valori di parità, di tolleranza e di rispetto reciproco, sullo sviluppo della capacità empatica e della compassione per i propri simili.