Anna Gervasoni, docente di Economia e gestione delle imprese alla Liuc di Castellanza e direttore di Aifi (Associaizone italiana del private equity, venture capital e private debt) spiega come l’Italia debba cogliere l’opportunità del Recovery Fund per rilanciare l’economia e il territorio
di Anna Gervasoni
Nell’anno delle Olimpiadi, occasione unica per le grandi sfide sportive, mi piace pensare che anche l’Italia si stia allenando per vincere quelle lanciate al Paese. Lo sport ci insegna che i limiti si possono superare e le difficoltà possono diventare le leve per il miglioramento. Abbiamo tanti esempi di giovani che, vissuti in luoghi e tempi svantaggiati, hanno potuto dimostrare che avevano valore, e la sfida è stato il momento di riscossa. L’Italia deve, quindi, cogliere l’opportunità del Recovery Fund per rilanciare l’economia e il territorio.
Il bisogno di supporto
Le aziende italiane, molte delle quali di natura familiare, hanno saputo superare, lavorando insieme, imprenditori e lavoratori, le crisi economiche, i disastri naturali e i cambiamenti tecnologici. Oggi si ritrovano al bivio tra la crisi e il rinnovamento e hanno bisogno di essere supportate per poter tornare competitive e ancora più forti, nel mercato internazionale. Lo strumento europeo può essere una soluzione importante: serve però realizzare un piano che permetta a tutti di far parte di questo grande progetto di rilancio, che possa diventare anche l’occasione per ripensare al territorio in modo più sostenibile e più conservativo verso l’ambiente.
Tempo di rilancio
Il rilancio quindi non deve essere visto soltanto dal lato della ripartenza economica: questa particolare fase che stiamo vivendo può darci la giusta motivazione per lavorare attivamente a una ripresa che contempli, recepisca ed espliciti gli obiettivi indicatoci dalle Nazioni Unite, i principi Esg (Environmental, social and governance), che comprendono cioè la sfera ambientale, sociale e di governance. Il tessuto imprenditoriale ha nel proprio Dna la cultura dell’attenzione all’ambiente, ai fattori di inclusione e di buona gestione delle attività e oggi, ancor di più lo può dimostrare. Possiamo cambiare il modo in cui lavoriamo per favorire un ciclo produttivo con minori emissioni e maggiore tutela dell’ambiente; possiamo, gestire meglio la realizzazione e lo smaltimento di rifiuti dei materiali pericolosi, a favore così della biodiversità; possiamo lavorare a una migliore formazione e sviluppo del capitale umano tutelandoli maggiormente nelle loro attività e realizzando luoghi di lavori più sicuri e salubri e anche maggiormente inclusivi dove le differenze tra etnie, sesso e religione vengono abbattute a favore di una maggiore collaborazione tra tutti. Dobbiamo diventare intransigenti verso i principi di etica e integrità del lavoro che svolgiamo, allontanando qualsiasi possibilità che si possa entrare in contatto con relazioni pericolose e illegali come la corruzione o il riciclaggio. Infine, i nostri Cda devono essere aperti, difendendo lo specchio dell’azienda e quindi moderni, compositi, e inclusivi.
Mettiamo in moto intelligenze e opportunità
Tutto questo non è ideologia o fanatismo buonista perché approcciare i principi Esg significa anche investire, mettere in moto intelligenze e opportunità a favore dell’attività economica e innescare così un ciclo virtuoso che permetta a tutti di guadagnare sia sul livello qualitativo sia su quello quantitativo della produzione. Non è una sfida da poco ma il nostro Paese ci ha insegnato che è proprio nei momenti più complessi che si ha l’opportunità di dare il meglio.