di monsignor Claudio Livetti
Sconfinare è bello
Sono in perfetta sintonia con quanto dice Etty Illesum: “Viaggerò per i paesi del tuo mondo, mio Dio, io lo sento in me questo istinto che passa i confini, che sa scoprire un fondo comune nelle creature in lotta fra loro su tutta la terra”. Anch’io fino a ottant’anni sono stato un po’ un giramondo. Oltre ai viaggi turistici coi parrocchiani in mezza Europa, negli anni del mio ministero e nei primi dopo il pensionamento ho visitato diverse missioni: in Africa ho visto Togo, Benin, Guinea Bissau, Tchad, Cameroun; in Asia Bangladesh, Taiwan, Hong Kong con sconfinamenti in Cina, India; in America latina il Brasile prolungatamente e Cile e Argentina brevemente.
Questi viaggi mi hanno fatto superare il campanilismo, dandomi un respiro di mondialità e mi hanno tolto l’illusione che la nostra civiltà europea sia il massimo della vita, perché dappertutto c’è da imparare e “si sa scoprire un fondo comune nelle creature in lotta fra loro”.
Sconfinare può essere necessario
Lo è stato per Abramo e per gli antichi Patriarchi in cerca di una terra, lo è stato l’esodo di Mosè dall’Egitto alla Palestina. La Bibbia ricorda che ci sono tre categorie di persone per le quali Dio ha un affetto speciale. Il Deuteronomio dice: “Il Signore vostro Dio rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero, perché anche voi foste forestieri in terra d’Egitto”. Il Salmo 146 ribadisce: “Il Signore protegge lo straniero, Egli sostiene l’orfano e la vedova”.
Nel secolo scorso, con famiglie numerose e poche possibilità di occupazione, era necessario partire dai nostri paesi per cercare lavoro altrove. Nel mio vissuto familiare ci sono tre fratelli di mio padre che hanno cercato lavoro agricolo in Argentina e sono rimasti là con le loro famiglie. Anche due fratelli di mia madre sono emigrati in California in cerca di benessere. Uno è morto in un incidente stradale e l’altro è rientrato con un gruzzolo sufficiente per aprire una falegnameria.
Chi sta bene rimane dove si trova. Chi si muove lo fa cercando di migliorare la propria condizione.
Le migrazioni di oggi
Sono un problema storico inarrestabile, conseguenza di un cambiamento epocale. Ciò che stiamo vivendo non è solo una svolta congiunturale, ma strutturale. Il passaggio all’era della globalizzazione e della tecnologia avanzata è analogo a poche altre svolte epocali della storia: la caduta dell’impero romano, la scoperta dell’America e la rivoluzione industriale.
Da un punto di vista religioso, gli sconfinamenti di oggi hanno facili coordinate di azione: basta ricordare la parola di Gesù nel capitolo 25 di Matteo: “Quando hai accolto lo straniero hai accolto me” e quella di Paolo VI: “Ogni uomo è mio fratello in Cristo”. Basta vedere ciò che fanno Papa Francesco e tante comunità cristiane per dare accoglienza ai migranti.
Il problema politico è più complesso. È ingenuo aprire le frontiere a tutti, senza fermare elementi pericolosi come sfruttatori, estremisti, terroristi e senza pensare come accogliere, istruire, occupare, inserire, integrare tante persone nel tessuto sociale. È crudele lasciar morire esseri umani nel Mare Mediterraneo (il più grande cimitero d’Europa!) o respingerli verso luoghi di guerra, miseria e tortura. Tra l’ingenuità e la crudeltà deve farsi spazio la razionalità. Un problema epocale non può essere affrontato con buonismi poco illuminati o con slogan viscerali di rifiuto. Occorre una politica seria a livello sia continentale che mondiale.
È un auspicio per il nuovo anno.
In foto: Monsignor Claudio Livetti