È atteso più del solito, dopo la situazione difficile dello scorso anno. Che cosa pensiamo augurandoci “Buone Feste” in questo momento più sereno, ma ancora problematico? Se lo domanda monsignor Claudio Livetti, già prevosto di Busto Arsizio, che a 90 anni riflette sulle festività di ieri e di oggi, da casa nostra ai talebani
Ricostruire la festa
Si nota una crisi del “far festa” e soprattutto del “far festa insieme”. Non sono più i tempi in cui la settimana era divisa in “giorni di lavoro” e “giorno di festa”. Oggi si parla piuttosto di fine settimana, che è interruzione di giorni faticosi precedenti e preparazione alle fatiche che verranno. Era bello quando c’erano i vestiti di tutti i giorni e quelli della festa, i piatti semplici della settimana e il pranzo della festa, con la tovaglia della festa che copriva quella di tela cerata dei giorni feriali. C’erano perfino le campane della festa, che diffondevano un clima di serenità. Qualcuno afferma che il benessere attuale ci ha portato ad essere sempre in festa. Se però fosse davvero sempre festa, non ci sarebbe mai festa. La festa esige qualcosa di nuovo, di diverso, di particolare, di eccessivo: ricordo il quarto di pollo che era d’obbligo nei menù delle feste nuziali! Occorre rivestire a nuovo la festa, con un atto di sartoria artistica che le ridoni il suo vero significato. È un significato religioso. I giorni feriali li sappiamo costruire noi. La Festa ci viene donata. Ha un valore sacro e una radice religiosa. Gli antichi pagani di Roma si rivolgevano al Dio Sole. I cristiani iniziarono subito a festeggiare ogni settimana il Signore risorto, dando attuazione a ciò che si legge nel Salmo 118: ”Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci e in esso esultiamo”. In seguito, trasformarono la festa del Sol invictus in quella del Sole di giustizia nato a Betlemme.
Il Presepe
Francesco d’Assisi, il più santo degli italiani e il più italiano dei santi, ha saputo rivestire il Natale con l’abito caratteristico del presepio. È difficile pensare al Natale senza collegarlo col presepio. Non soltanto per una dimensione culturale o per un’esperienza estetica, ma per una scoperta di senso. Quanti presepi nelle case, tradizionali o simbolici, quante raffigurazioni della natività nelle tele immortali dei nostri pittori dei Cinquecento e del Seicento. Quanta ingegnosità e fantasia nelle creazioni napoletane. Quanto impegno di gruppi di volontari nel realizzare presepi plateali in luoghi pubblici, pur sapendo che possono essere esposti ad atti vandalici. I missionari comboniani di Venegono Superiore ogni anno fanno un grande presepio a tema, una denuncia sociale o una provocazione alla riflessione, rivolta a menti assopite dal benessere. Io avrò il mio piccolo presepio in casa, come tutti gli anni, ma sperimenterò il vero presepio alla mezzanotte di Natale, quando, alzando con le mani l’ostia consacrata, penserò a quel bambino alzato dalla mamma e passato nelle mani di un soldato, per sottrarlo al pericolo di finire nelle mani dei talebani. Anche il Bambino del 25 dicembre poteva finire male nelle mani del talebano d’allora, Erode il grande.
Festa in famiglia
Dove essa non è stata ridotta a generico contenitore di individui che stanno insieme perché sono soddisfatti nelle loro esigenze e nelle loro pretese, è bello festeggiare il Natale: trovarsi con persone legate dalla stessa storia, dallo stesso sangue, dagli stessi interessi, dalla stessa dimora. La pandemia le ha fatte restare insieme per forza, il Natale le può far restare insieme con amore, dimostrato dalla tenerezza affettuosa dei coniugi e percepito piacevolmente dai figli che li ammirano per la loro promessa di amore eterno, fatta in passato ma tuttora presente, nel “duro desiderio di durare”. Si deve ricostruire il lessico del dialogo affettuoso che esprime le ragioni del cuore. Piace a tutti sentirsi dire: “Ti amo” e vedere i propri genitori che si scambiano segni di affetto. È bello anche trascorre un periodo di feste in cui ci si ascolta. L’udito è un senso fondamentale, è il primo che si sperimenta fino dal grembo materno. Poi magari nella vita si usa meno, donde i lamenti: “Tu non mi ascolti mai!” o le domanda: “Ma mentre ti parlo tu mi stai ascoltando?”. Essere ascoltati veramente offre una gratificazione più grande di qualsiasi altro benessere psicofisico. Per ascoltarsi sarà ovviamente necessario darsi una tregua dall’invasione dei rumori dei mass media, una vera libertà dalla telecrazia dominante sia sullo schermo sia nei telefonini. Che bello un pranzo di Natale coi telefonini spenti! Quando si dice che l’Epifania tutte le feste porta via, dovrebbe valere solo per le festività, non per la gioia del cuore di cui si è fatto esperienza coi propri cari.