Monsignor Claudio Livetti, già prevosto di Busto Arsizio, ci racconta la sua esperienza da “positivo in quarantena”, invitando a riscoprire il fascino della bellezza: “La crisi del vero e del bene sarà supplita dal bello, che non tramonta mai”
di Monsignor Claudio Livetti
Reclusi per prescrizione medica
Ci sono delle solitudini che fanno parte di una scelta di vita: penso ai monaci (soprattutto agli antichi anacoreti, fuori dal mondo!) che fanno la scelta di passare tanto tempo nella loro cella. Questo termine equivale a “Cielo”: un luogo tranquillo e sereno in cui si dialoga con sé stessi, si vive una grande pace interiore e si immerge l’esistenza umana nell’Assoluto. Diversa è la solitudine del carcerato in cella di isolamento: vive la prigionia assalito dai sensi di colpa, dai rimorsi negativi, abbandonato quasi da tutto il mondo. L’ergastolano soffre maggiormente, perché sa che quello è tutto il suo presente perenne. Non c’è futuro. Diversissimo è l’isolamento che io ho dovuto subire, come moltissimi altri, a causa della positività al Covid. Pur con tutte la buona volontà e l’aggrapparmi alle risorse psicologiche, è stata un’esperienza di cupa coazione, di mancanza di autonomia, di attesa dell’arrivo degli alimenti e delle terapie e soprattutto del tampone periodico. Ho perfino commesso peccato di invidia: invidia dell’ora d’aria concessa ai carcerati e a me impossibile.
Il desiderio della natura
Non serve uscire dall’isolamento per immergersi nella vita della città. Qualsiasi città moderna non è fatta per consentire alla persona un’esperienza di libertà e di pacificazione interiore. Anche l’uomo animato dalle migliori intenzioni si trova esausto, intontito e fiaccato dal continuo rumore delle macchine e degli altoparlanti, dall’aria consumata e spesso viziata e dalle luci abbaglianti degli uffici e dei negozi, dalle continue suggestioni degli avvisi e della pubblicità. Tutta quella agitazione fisica sembra congegnata per spingere nel deserto della nevrosi. Occorre trovare un vero contatto con la natura. Da vecchio scout ricordo l’articolo della Legge: ”Lo scout vede Dio nella natura; protegge le piante e gli animali”. È bello e indimenticabile aver vissuto anni a stretto contatto con la natura, intesa nel senso-lasciatemi dire “clorofilliano”. Boschi, campi, valli, colline, fiumi e laghi, le nuvole che passano nel cielo, la luce e le tenebre, il sole e le stelle possono dare all’uomo il senso di libertà e di pace di cui godeva il primo uomo nel giardino della creazione. Mi ha colpito l’affermazione di una scrittrice: ”Mostrami il tuo giardino e ti dirò chi sei”. Ho fatto l’esame di coscienza su come tengo i vasi di fiori sul davanzale e la pianta nell’angolo dello studio… senza perdere però il desiderio di un vero giardino.
La bellezza che salva
La crisi del vero e del bene sarà supplita dal bello, che non tramonta mai. La rigidezza delle pareti/prigione dell’isolamento ha bisogno di essere superata con un tuffo nel bello. Già in quei giorni tristi era un sollievo vedere qualche raro spettacolo bello alla Tv. Dopo l’esperienza dell’isolamento si sente il desiderio di venire a contatto con le bellezze create dall’arte e tramandateci dal passato. Credo che anche nella metropoli chiunque passi dalla squallida periferia al centro, si senta incantato e liberato ammirando il Duomo, la galleria, il teatro Alla Scala. Occorre però educarsi a vedere, gustare e sperimentare la bellezza. Un turista potrebbe benissimo visitare una città o anche uno dei tanti musei, con una guida esperta, guardando scrupolosamente ogni cosa e terminare la visita meno ricco di quando l’ha iniziata. Ha visto tutto ma non ammirato nulla. Se si fosse fermato un attimo a guardare bene una cosa particolare che gli piaceva e farla sua, ospitandola nel suo cuore, avrebbe aumentato lo spazio interiore della sua esistenza. Dimentichiamo dunque le brutte giornate dell’isolamento e tuffiamoci nell’immensità della bellezza.