Fare male fa vivere male

di Andrea Mallamo

Monsignor Claudio Livetti, già prevosto di Busto Arsizio, riflette a tutto tondo sulle aggressioni di ieri e di oggi contro le donne, ma anche gli uomini e il pianeta

di monsignor Claudio Livetti

La storia umana, purtroppo, assomiglia a quell’asino che, girando attorno a una macina da mulino, percorse cento miglia, ma quando fu sciolto si trovò ancora allo stesso posto. Non è cambiato niente da quando Caino ha aggredito il fratello Abele ignaro e inerme.

Ricordi ed esperienze sofferte

Mi arrabbio quando ricordo che a scuola mi hanno fatto studiare la storia che era quasi solamente un susseguirsi di conflitti. Da ragazzo, nella Seconda Guerra Mondiale, ho avuto un mio caro cugino caduto sul fronte albanese, ho visto i bombardamenti di Milano nell’agosto 1943, la deportazione di giovani nei lager nazisti, le rappresaglie reciproche dei repubblichini di Salò e dei partigiani, il lancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki.

Oggi, da vecchio, soffro per le violenze che si consumano contro madre natura (che sta già prendendosi le sue vendette) e per quelle dentro le pareti domestiche: contro bambini, donne, genitori anziani. Rattristano sempre le morti bianche in fabbrica e la violenza sulle strade: il detto arteria stradale è oggi veritiero più che mai, perché il sangue vi scorre in agguati, incidenti volutamente procurati e morti improvvise di giovani autolesionisti che muoiono impattando contro un ostacolo perché “fatti” o ubriachi. Spengo spesso la televisione per non assistere alle aggressioni verbali dei nani/politici di oggi, che pensano alle elezioni future, ben lontani dai giganti/statisti di una volta che, pur con opinioni diverse, si confrontavano pensando alle generazioni future.

Preferisco cambiare argomento.

Una leggenda

Mia nonna mi raccontava che San Giuseppe, quando portava Maria e Gesù in Egitto, fece una sosta per trascorrere una notte in una caverna. Sopraggiunsero dei briganti, che volevano depredare l’uomo e violentarne la giovane moglie. Il capo banda, Disma, lo proibì assolutamente: “Guai a chi osa fare del male a questo uomo modesto, a questa ragazza bella come una Madonna, un raggio di sole che non può assolutamente essere offuscato, e a quell’innocente neonato”. I ladroni, anche a malincuore, dovettero sottostare al dictat del loro capo. Lasciarono libera quella famigliola e se ne andarono per la loro strada. Trent’anni dopo, il capo banda concluse la sua “carriera” con una condanna a morte per crocefissione. Si trovò sul Calvario vicino ad un altro Condannato: il Bambino della grotta cui aveva risparmiato violenza. Disma, il buon ladrone, pentito in exstremis, si sentì promettere il paradiso. Una ricompensa generosa, perché in quella caverna d’Egitto era stato “buono”, benché “ladrone”.

Una storia

Santa Rita, nata a Rocca Porena nel 1363, aveva sposato un mercante di Cascia e ne aveva avuto due figli. Purtroppo il marito aveva un caratteraccio rissoso e attaccabrighe e morì ammazzato. Erano tempi ferrigni e violenti! I figli di Rita erano degni di tanto padre ed erano molto determinati a vendicarlo. Non riuscirono nel loro intento, perché… morirono anzitempo. Rita aveva chiesto a Dio di vederli morti piuttosto che assassini. Una preghiera materna che nella mia vita ho sentito più volte: “Preferisco vedere mio figlio al cimitero piuttosto che in carcere o abbrutito e schiavo della droga”. Rita, finalmente rimasta sola e libera da un clima violento, bussò alle porte del convento delle monache agostiniane: una vocazione adulta e provata dalle vicende della vita. In convento poté vivere santamente e gustare le dolci parole: “Beati gli operatori di pace”. Fin qui il Vangelo. Si può aggiungere: “maledetti i violenti, perché fanno male, vivono male e fanno la figura dell’asino con gli occhi bendati”.

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