“La Chiesa non é l’edificio sacro, ma la comunità”: monsignor Claudio Livetti, già prevosto di Busto Arsizio, riflette sulla riapertura dei luoghi di culto dopo la lunga e inedita chiusura forzata
di monsignor Claudio Livetti
Un silenzio sofferto
La chiusura delle chiese per gli atti di culto per salvaguardare la salute fisica non é stata priva di sofferenze per la salute spirituale. Ho nelle orecchie il lamento dell’anziano ottantenne che, per la prima volta in vita sua, non ha potuto baciare il Crocifisso al Venerdì Santo e ricevere la Comunione a Pasqua. Penso al dispiacere dei bambini che hanno visto cancellato il giorno tanto atteso della Prima Comunione e agli sposi costretti a dilazionare la celebrazione del Matrimonio. Il virus non solo ha provocato la morte ma l’ha anche umiliata, ammassando bare sui camion militari e infliggendo a chi si é trovato disarmato e doppiamente dolorante a salutare un familiare ai cancelli del Cimitero, con una cerimonia furtiva invece che con una degna celebrazione di suffragio.
La voce delle famiglie
Il coronavirus ha lasciato storditi tutti, ma non ha mandato in letargo le famiglie cristiane. Molte hanno assolto alla loro vocazione di essere “Chiese domestiche” e cenacoli di preghiera. So di alcune mamme che hanno ripristinato antiche tradizioni e devozioni, ma hanno anche creato spazi di silenzio, modi nuovi di presentarsi e narrarsi davanti a Dio e di rivolgersi a Lui, invitato mariti e figli ad ascoltare il Vangelo con momenti di silenzio, di interiorizzazione e di meditazione. Queste feritoie aperte durante le ferite, é bene che non si chiudano dopo … il pandemonio.
La sintesi della vita cristiana
La Chiesa non é l’edificio sacro ma la comunità: il popolo di Dio convocato per svolgere un “culto rituale” in cui far confluire il “culto spirituale” di cui parla San Paolo nella Lettera ai Romani: ”Vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente”. Il nostro culto é innanzitutto offrire i nostri corpi, cioè la nostra vita in tutta la sua fisicità, in tutta la sua estensione, il giorno e la notte, il lavoro e il riposo, la giovinezza e la vecchiaia, la salute e la malattia, il successo e l’insuccesso, la gioia e il dolore, l’entusiasmo e la depressione. Tutto questo viene donato come sacrificio vivente nella celebrazione della Messa domenicale.
Un incontro rivelatore
La Messa non deve essere uno spettacolo visto sul teleschermo, ma un momento vissuto insieme con gioia, con canti e con abbracci, perfino con danze nelle chiese di missione. Questa convocazione settimanale é indispensabile per garantire l’identità della comunità cristiana. Una volta chiesero a un rabbino come erano riusciti gli ebrei a salvare il sabato lungo i secoli. La sua risposta fu: “Non sono gli ebrei che hanno preservato il sabato. È il sabato che ha preservato gli ebrei”. La Messa della domenica preserverà la comunità cristiana!
Una Chiesa povera, ma generosa
La Chiesa é diventata, soprattutto in Parrocchia, povera di fedeli, di laici impegnati, di sacerdoti e altri ministri, di religiose consacrate, di risorse finanziarie, di rispettabilità, di prestigio sociale, di incidenza nella società pluralista. Ma questa Chiesa povera dona generosamente la ricchezza del Vangelo: non un testo ma un mistero, una parola che salva con una vivacità vivificante, una parola di sicuro riferimento in una società alluvionata da troppe parole tristi, false, incerte, vacue. Il Vangelo è il dono più grande, oltre le elemosine, il cibo e il vestiario distribuiti attraverso la Caritas e la San Vincenzo, sempre ma ancora più in questo tempo di epidemia e di carestia.
In foto: vignetta di Tiziano Riverso