“Negli anni Ottanta per il cinema italiano ci furono grandi incassi, ma scarsa risonanza”
di Matteo Inzaghi
Il critico cinematografico Matteo Inzaghi, autore del libro Mai più così belli. Il cinema della New Hollywood tra storia, arte e psicologia, racconta gli ultimi quattro decenni italiani all’insegna della Settima Arte
Quarant’anni or sono, nei primi anni Ottanta, il Cinema italiano visse un momento di passaggio cruciale.
Per rendere l’idea della svolta (e dei limiti espressivi di quell’epoca) è bene riassumere le correnti artistiche che l’avevano preceduta.
Percorso in quattro tappe
In estrema sintesi, potremmo citare quattro tappe fondamentali. La prima, che coincide col Ventennio, è quella dei Telefoni Bianchi, chiamata così per lo sfoggio civettuolo di oggetti allora riservati a pochi abbienti e per una narrazione semplice, ben distante dalla Realtà. Finita la guerra, ecco il Neorealismo: approccio diametralmente opposto ai suddetti “telefoni”. La cinepresa lascia i teatri di posa e va per strada, tra le macerie, per raccontare il Reale senza filtri.
Negli anni Cinquanta fa capolino il Realismo (di cui Visconti è il principale fautore). Ingredienti, splendore visivo e decadenza morale. Alla fine del decennio Monicelli inventa la Commedia, o meglio: l’arte della sdrammatizzazione. È l’alba del Cinema d’Autore, che tra i Sessanta e i Settanta, in parallelo ad alcuni solidi registi di genere, dà il suo meglio: Fellini, Leone, Antonioni, lo stesso Monicelli, Risi, Visconti, Pasolini, Germi, Scola, Comencini, solo per citare i più noti. Sboccia il Cinema di denuncia, con Rosi, Petri e Damiani. Dopodiché, con gli Anni di Piombo, la commedia si incupisce e si fa più brutale e pessimista, come il maiuscolo Ferreri sta lì a dimostrare.
Anni Ottanta, nasce la TV commerciale
Ed eccoci approdare agli anni Ottanta e alla nascita della TV commerciale. Un passaggio epocale, che toglie pubblico alle sale e accentua la componente consumistica e apolitica dell’espressione filmica.
Per ragioni anagrafiche, ma anche legate a un’ispirazione singhiozzante, i grandi perdono terreno e diradano le produzioni. Il vuoto viene colmato dalle nuove star televisive: Verdone, Nuti, Benigni, Troisi. E dalla scuderia dei fratelli Vanzina, che miete successi immortalando una società orgogliosamente superficiale. Il problema è che la inconsistenza non sta solo nel contenuto, ma anche nella forma: la qualità media dei film si abbassa, risultando sempre meno esportabile. Grandi incassi, scarsa risonanza.
La rifondazione degli anni Novanta
La crisi si protrae per oltre un decennio, trovando negli anni Novanta una piacevole rifondazione, grazie ad un pugno di registi carichi di visione, abilità stilistica e senso del racconto: tra questi, Virzì, Giordana, Tornatore, Amelio, Archibugi, Martone, Crialese.
Il nuovo slancio del Duemila
Il cinema di genere ritrova slancio e negli anni Duemila sdogana nuovi talenti capaci di fondere il cliché con l’innovazione dei linguaggi. Alcuni, come Sorrentino, portano l’Italia a (ri)guadagnare il proscenio mondiale. Altri, come Sollima, impongono a livello internazionale l’inedita potenza del proprio sguardo. Altri ancora, come Garrone, diventando cantori di un cinema nostrano a caccia di inedite traiettorie.