In attesa che riaprano scuole e università, tutta la didattica è diventata online. Per analizzare gli aspetti positivi e negativi di questa situazione, ci siamo rivolti a Elena Ferrari, docente d’Informatica dell’Università dell’Insubria, tra le 50 donne più influenti del digitale in Italia
di Chiara Milani
C’è chi la benedice. E chi la demonizza. Di certo, l’emergenza Coronavirus ha messo sotto i riflettori la didattica a distanza. Con le scuole chiuse in Lombardia da fine febbraio, infatti, gli studenti di ogni ordine e grado si sono improvvisamente dovuti confrontare con le lezioni da remoto. E, con essi, le loro famiglie, spesso esasperate dall’esigenza di più device per più figli. Oltre che da un’esperienza scolastica del tutto nuova.
Per capirne meglio pro e contro, noi ci siamo rivolti a Elena Ferrari, premiata lo scorso anno tra le 50 donne più influenti del digitale in Italia, che insegna proprio Informatica all’Università dell’Insubria e che, come tutti i suoi colleghi, si è dovuta misurare con questa nuova esperienza di e-learning.
Un conto è l’emergenza, un altro la normalità
“Vista l’emergenza, la giudico molto positivamente. I miei studenti sono contenti. Immaginate se fosse successo 10 anni fa”, ci risponde la docente esperta. Anche se subito aggiunge: “Naturalmente la didattica a distanza in condizioni normali non potrà mai soppiantare la didattica tradizionale, perché è dall’interazione con gli studenti, che avviene in classe tutti i giorni, che nascono le lezioni migliori”.
Il fattore tempo
Persino per chi, come lei, magia pane e tecnologia tutti i giorni, l’insegnamento online ha significato un impegno maggiore: “La didattica online richiede più tempo per preparare i materiali”, spiega. Un fattore non da poco, quello delle ore investite per creare le nuove lezioni, soprattutto perché come i suoi colleghi – e molti altri italiani, soprattutto donne – Ferrari si è trovata a lavorare in modalità smart working, con i due figli a casa da scuola.
L’eredità del lockdown
“Si lavora tanto, forse anche più di prima, perché non c’è differenza tra l’ufficio e la casa, quindi io passo dal ruolo di professoressa a quello di mamma e giardiniere senza soluzione di continuità”, conferma la professoressa. Pur sottolineando, in conclusione, l’eredità positiva che ci resterà dal lockdown: “Spero che questa esperienza ci abbia fatto capire che dell’informatica abbiamo bisogno come dell’energia elettrica e che ci abbia fatto acquisire fiducia nelle tecnologie: abbiamo toccato con mano la loro utilità”.
in foto: Elena Ferrari