di Elisabetta Farioli
Prima il Covid19 e poi la guerra, con tutte le sue conseguenze, hanno messo in ginocchio spazi e sedi espositive, minacciando di portare economicamente al collasso le attività anche di storici musei. Per cercare di capire come si possa affrontare il momento, abbiamo chiesto a Gianni Mina, direttrice del Museo Vincenzo Vela di Ligornetto, in Svizzera, che rappresenta un esempio di successo.
Come risparmiare energia
“La riduzione del dispendio energetico, che in fondo è il mezzo più diretto per fare fronte a questa situazione, si può attuare in due modi, più semplice o più drastico”, ci risponde la nostra interlocutrice, che cita ad esempio il fatto di ridurre gli orari di apertura e prestare attenzione al consumo, spegnendo le apparecchiature, anziché lasciarle in standby. Chiara la logica di Mina: “Se il museo è vuoto in certi momenti del giorno, non è necessario tenere tutte le luci accese, così come nel parco. Azioni all’apparenza piccole, ma che moltiplicate per i numerosi musei e istituzioni che costellano il nostro territorio, sono sicuramente interessanti”.
Quando la soluzione è più drastica
Più difficile invece, e in questo caso le soluzioni non si sono ancora trovate, sono gli interventi più drastici che – prosegue la direttrice – “andrebbero a incidere sulla conservazione delle collezioni permanenti”. Forse, infatti, il pubblico non sempre riflette sul fatto che oltre al museo visibile, emerso, quello delle mostre e delle grandi attività, esiste tutto un mondo “sommerso”, quello del patrimonio, delle collezioni, che vengono conservate.
La task force svizzera
Il compito fondamentale di ogni istituzione, del resto, è proprio quello di salvaguardare il grande patrimonio. “Questo lo si fa innanzitutto rendendolo sicuro con allarmi e garantendo la sua conservazione, attivando sistemi di deumidificazione, di controllo dell’aria e temperature. In una situazione di emergenza, lo spegnimento di questi impianti di climatizzazione, anche solo di qualche ora, potrebbe, a lungo andare, intaccare alcune collezioni, come le più sensibili: le opere su carta, le fotografie e le incisioni. Stiamo ancora valutando… ma dobbiamo prepararci!”. In Svizzera c’è una task force, a livello federale, che si sta interrogando sul problema, “ma credo che ciascuna realtà, discutendo soprattutto con il proprio team, i propri collaboratori, possa trovare soluzioni sopportabili anche per il pubblico, nostro referente principale”, sottolinea Mina.
Alla scoperta di Depurtuis
Fino al 12 febbraio, il Museo Vela ospita la mostra Il filo di Arianna. Marcel Dupertuis. Opere 1951-2021: scultore, pittore, incisore e grandissimo ceramista, Depurtuis è forse poco noto, ma è una figura importante tra i rappresentanti di una generazione che ha cercato di fare del proprio impegno d’artista ed esistenziale, la propria forza, al di fuori del sistema del mercato dell’arte.
Una mostra sorprendente
La direttrice ci anticipa infine che l’anno prossimo l’evento clou riguarderà la collezione di disegni di Vela, annoverato tra i padri del Risorgimento artistico italiano: “Conserviamo circa un migliaio di disegni, di sculture meno conosciuti, ma che celano aspetti fondamentali nella produzione scultorea visibile nelle opere esposte al piano terra del museo. Una mostra di studio, con aspetti sorprendenti e direi un po’ di nicchia”.
In foto: Marcel Dupertuis (*1941)
Olocausto
Carrara, 1978
marmo bianco e blu di Carrara,
acciaio inox, 178 × 60 x 68 cm
Ligornetto, Museo Vincenzo Vela – DMD11 © Marcel Dupertuis / MVV