Parla il patron Gianfranco Ponti. Dalla sua dimora di Angera, l’imprenditore e finanziere racconta i motivi del suo supporto al settore giovanile della Pallacanestro Varese e ci anticipa i progetti futuri: “I nostri atleti hanno un codice etico che li impegna a studiare”
Ci accoglie nella sua casa di Angera, Gianfranco Ponti. Non potrebbe essere altrimenti, in fondo. In questa dimora con giardino, incastonata tra il lago e la Rocca Borromeo, affondano infatti le radici della sua esistenza. E della sua scelta d’investire nel settore giovanile della Pallacanestro Varese. Una Città, quella Giardino, dove è nato il suo amore per il basket e dove è vissuto fino a 19 anni, per poi andare subito dopo il militare all’estero, dove è sempre rimasto, cambiando luogo ogni paio d’anni. Ma tornando ogni Natale in questa dimora, che è l’unico posto dove davvero si senta a casa.
Bisogna ascoltare la storia dei suoi primi 59 anni di vita, che narra dalla poltrona sotto il dipinto del monumento-simbolo della cittadina lacustre, per capire il perché abbia scelto d’investire nella Varese Academy.
“I miei figli ormai sono grandi e vivono a Parigi, dove ha base la mia famiglia. Negli ultimi due anni, avendo rallentato molto il mio lavoro nel campo dei fondi di private equity, vissuto a lungo in modo low profile nello spirito di Mediobanca, sono tornato al basket, che è sempre stata la mia passione, ma che per mancanza d’altezza e di talento ho smesso in fretta. Il nostro é dunque il progetto del settore giovanile nato per la pallacanestro della città in cui sono nato”.
Dopo due anni, con tutti i soldi che le è costata e le critiche che le ha portato, s’imbarcherebbe di nuovo in questa avventura?
Assolutamente sì. In due anni gli allenatori sono stati cambiati nonostante fossero tutti competenti, ma ritenevo che fosse necessario avere solo allenatori a tempo pieno e con esperienze nazionali e internazionali di alto livello. Oggi la nostra attività giovanile coinvolge oltre 30 persone: molte di più di quelle dedicate alla prima squadra. Così, anche con un po’ di fortuna, quest’anno siamo diventati gli unici in Italia che sono sempre arrivati con tutte le squadre nei primi otto, alle finali nazionali. A Varese era tempo che non lo facevano.
E’ chiaro che lei è un uomo results oriented: orientato ai risultati, come direbbero gli americani…
Sì, ma non ho mai operato mirando ai risultati a ogni costo. Ho scelto la finanza etica, quando era ancora abbastanza raro e rinunciando di certo a molti guadagni. Oggi, noi non consideriamo i nostri ragazzi dei semplici investimenti, bensì delle persone, che devono stare a un codice etico, che comprende lo studio: pensi che non abbiamo avuto timore di mandare a casa un atleta molto promettente, che però non si andava bene a scuola. Volentieri sosteniamo anche i ragazzi nella scuola, con professori di sostegno piuttosto che nella logistica, facendoci carico dei costi.
Qual è il suo obiettivo?
La sostenibilità del settore giovanile,indipendentemente da me, da raggiungere entro 4 anni, crescendo nel tempo una ventina di atleti destinati almeno ai campionati di serie A1, A2 e B. Attualmente nella squadra under 18 abbiamo almeno una mezza dozzina di prospetti che possono farcela. Ne servono altri per generare quei 200mila euro all’anno tramite ciò che io chiamo i “diritti di allevamento”, cioè i parametri. A quel punto, dal punto di vista finanziario il mio supporto non sarà più vitale, come invece lo è ora. Se ci pensa, sono in realtà il secondo più grande sponsor della Pallacanestro Varese, dopo Rosario Rasizza di Openjobmetis.
E quando avrà fatto canestro con l’Academy, a che cosa mira? Alla prima squadra?
No. E non ho neppure ambizioni politiche o sociali.
In molti si chiederanno perché lo fa, visto che oltretutto non ha vita facile…
Pensi che ci eravamo impegnati a cercare i finanziamenti e il supporto di Stato, Regione, Fondazioni pubbliche e private per un impianto da 6 milioni, chiedendo 10mila metri di spazio e un aiuto sulla parte operativa, gestionale. Abbiamo proposto 3 siti. Per due ci hanno detto che avevano già altri progetti. Per il terzo, stiamo aspettando da un anno il bando.
Come mai, secondo lei?
La Pallacanestro è vista a Varese come la cosa più importante, ma anche l’unica che sta in piedi da sola, e invece di aiutarla a rimanere, forse col canottaggio, la cosa migliore… forse i tempi della burocrazia. Vista la situazione, abbiamo deciso di fare una cosa più modesta, togliendo tutta la parte commerciale anche se avrebbe portato posti di lavoro, e di rivolgerci ai Comuni limitrofi per identificare un immobile che abbia però anche tanto terreno per costruirci tre campi, dove i genitori possano portare con facilità anche i ragazzi del minibasket.
In foto: Gianfranco Ponti