E’ uno dei massimi esperti di ponti. Per capire i collegamenti necessari per il futuro del nostro territorio, non soltanto dal punto di vista delle infrastrutture stradali e ferroviarie, abbiamo parlato con Enzo Siviero, ingegnere, architetto ad honorem e rettore dell’università eCampus
di Chiara Milani
Lo chiamano The Bridgeman. Ovvero, l’uomo del ponte. Visto che è tra i massimi esperti di queste infrastrutture. Una capacità tecnica che si riflette in una filosofia di vita. Non a caso il suo motto è proprio bridging cultures and sharing. Ossia, connettere e le culture e condividere i cuori. Un lascio etico per il futuro dei giovani, quello del professor Enzo Siviero: 74 anni, ingegnere padovano, laurea ad honorem in Architettura, docente universitario a lungo a Venezia e rettore dell’università telematica eCampus che ha la sede principale a Novedrate, nel vicino Comasco.
A dodici mesi dalla sua visita nel nostro territorio, dove è stato chiamato dall’Ordine degli architetti per Thinking Varese, gli chiediamo che cosa gli sia rimasto impresso di queste parti. Ci spiega così come Villa Panza lo abbia lasciato “sbigottito” con un “percorso di profonde emozioni, dense di pathos”, al termine del quale ha avvertito “una volontà di costruire tutti insieme un vero e proprio ponte di ponti… umani, per sentirci uniti e sicuri nell’attraversamento dell’ignoto”.
Ma se un anno è passato dalla sua visita nel nostro territorio, nove mesi sono trascorsi da un altro, tragico anniversario: il crollo del viadotto Polcevera a Genova, di cui lui si è molto occupato. “Ho appena scritto altre lettere per ribadire che la demolizione è una scelta irrazionale, puramente politica e che non ha nessuna base tecnica, scientifica né tanto meno culturale, con costi di carattere economico e sociale elevatissimi, oltre che non all’altezza della fama di Renzo Piano”, ci spiega.
Lei peraltro ha scritto a molti per il ponte Morandi, crollato l’estate scorsa…
Guardi, sono uno che costruisce e non demolisce, non mi piace criticare, bensì proporre soluzioni, anche se finora tutti i nostri appelli non hanno trovato riscontro.
Ecco, in ottica propositiva, torniamo a questo territorio. Guardandolo dal Nord Est, come vede il paesaggio del Nord Ovest oggi?
Sono assolutamente convinto che le potenzialità di questa parte d’Italia siano ben superiori a quelle che vengono sfruttate. Credo che certe piccole opere facciano il contesto e la cultura. Quindi, il paesaggio io lo vedo sempre e solo come paesaggio culturale antropico, perché se non c’è l’uomo di mezzo non è un paesaggio: è una cartolina, è un panorama. Voi dalle vostre parti avete paesaggi strepitosi, come la messa in sicurezza di certi torrenti, che sono un’opera straordinaria, oppure certi passaggi di montagna, riprendendo i vecchi sentieri, dove si trovano dei lacerti di ponti antichi che sono stati abbandonati, mentre invece andrebbero essere valorizzati, perché è la nostra storia.
Lei qui a Varese è venuto per parlare della necessità di (ri)educare i committenti…
Ci vorrebbe una rivoluzione culturale e adesso si comincia a parlarne. Un humus su cui lavorare c’è. Penso però che in generale il tema fondamentale, che non è stato ancora affrontato e praticato, sia quello della qualità del progetto delle infrastrutture. Non sto parlando soltanto di bellezza. Sto parlando di funzionalità che va assieme alla componente dell’inserimento ambientale. Storicamente, fino a 40 anni fa, i ponti erano belli, in senso di venustas: bellezza, armonia, capacità d’inserirsi in un luogo senza violentarlo. Negli ultimi 40 anni tutte le periferie italiane sono state invase da queste terribili costruzioni che non sono solamente gli edifici, ma anche le tangenziali, che sono un luogo che emana energia negativa, essendo “luoghi non luoghi”, per fare una citazione. Detto ciò, gli spazi per aggiustare le cose oggi ci sono. Le faccio un esempio: dovendo sistemare queste opere, che d’arte non sono, dal punto di vista della sicurezza e della funzionalità, mettendo anche le piste ciclabili, si potrebbero farle diventare belle, quanto meno armoniose, lavorando anche con dettagli come luci e cromatismi, senza operazioni costose. Almeno da un punto di vista economico. Lo sono da un punto di vista culturale, perché siamo un Paese che la cultura se l’è dimenticata. Parlo sia della classe politica sia di quella professionale, che dovrebbe imporsi. Una delle occasioni perse in Italia è stata l’alta velocità. Ora ci vuole un ponte culturale, virtuale, tra ingegneri, architetti e pure geometri, per saldare i vari aspetti, facendo massa critica per il ritorno alla bellezza.
A poca distanza da qui, nel Comasco, lei sta costruendo anche altri tipi di ponti, come quello tra un’istituzione antica, qual è l’università, e il mondo digitale. Molti però guardano questa sfida con grande diffidenza…
E’ una diffidenza che nasce innanzitutto dal fatto che non si conoscono i dettagli, ma ci si basa su pregiudizi, che io ho toccato con mano quando tre anni fa mi hanno chiesto di fare il rettore di eCampus, uscendo da 9 anni nel Consiglio universitario nazionale, dove le telematiche venivano considerate un “esamificio”. La gente non sa che le telematiche sono soggette, come le altre, alla verifica dell’Anvur. Dal punto di vista formale, rispondiamo quindi a tutte le caratteristiche. Da quello sostanziale, le dico che c’è telematica e telematica. Da quando ci sono io, noi abbiamo avuto un trend di crescita del 20% all’anno, abbiamo centinaia di studenti che sono soddisfatti, il 25-30% dei nostri iscritti sono neo iscritti. Il vantaggio grande non è soltanto quello di recuperare persone che si sono perse per strada, ma anche quei soggetti che, vivendo in realtà lontane dalle città universitarie, non riescono a mantenersi agli studi fuori casa. Noi dunque abbiamo anche una funzione sociale. Le dirò di più. Noi siamo un ponte verso i giovani, perché è l’università che va in casa dello studente e quindi della sua famiglia, facendo così entrare nelle abitazioni la cultura. Facciamo dunque in modo che internet sia funzionale anche alla cultura e non soltanto a mandare in giro fake news. Senza parlare del campus universitario che abbiamo a Novedrate, che è quanto di più moderno, ma pure di più antico, perché ha spazi comuni che consentono d’interagire più che in un’università tradizionale. Perciò, noi dobbiamo guardare gli aspetti critici, ma anche valorizzare quelli positivi. Quindi, se non ci fossero le telematiche, bisognerebbe inventarle”.
In foto: Enzo Siviero