Sabrina Giussani, medico veterinario presidente senior di Sisca (Società italiana delle scienze del comportamento animale), ricorda la figura delle tre donne che hanno cambiato la primatologia
di Sabrina Giussani
Tre donne hanno cambiato la primatologia, la scienza che studia le scimmie antropomorfe (come i gorilla, gli oranghi, gli scimpanzé e così via) sotto l’aspetto anatomico, biologico e comportamentale.
Dal laboratorio all’habitat naturale
Jane Goodall, Dian Fossey e Biruté Galdikas verso la fine degli anni Cinquanta sono state inviate sul campo per osservare da vicino le grandi scimmie antropomorfe. Le primatologhe hanno compreso il ruolo fondamentale dell’ambiente per studiare il comportamento di un animale: trasportare una scimmia in laboratorio o catapultarla nel mondo degli esseri umani contamina l’osservazione. In un campo dominato fino a quel momento dagli uomini, le donne sono entrate in sintonia con l’ambiente senza interferire con i gruppi di animali arrivando così a conoscerne appieno le dinamiche.
L’amica degli scimpanzé
Jane Goodall è un’antropologa ed etologa inglese tutt’ora vivente che nel 1960, accompagnata dalla propria madre, ha raggiunto la Gombe Riserve in Tanzania per studiare il comportamento degli scimpanzé. Grazie ai risultati raggiunti, è stata una tra le poche persone che ha conseguito un dottorato senza essere prima laureata. Anziché indicare gli scimpanzé con un numero o un codice, Jane Goodall assegnava loro un nome che ne rispecchiava la personalità: “Non sono solo gli esseri umani ad avere personalità, pensiero razionale ed emozioni come gioia e dolore”, ha sempre sostenuto. In particolare, la ricercatrice è famosa per aver dimostrato che non solo gli uomini possono costruire utensili. Osservando un gruppo di scimpanzé, infatti, la Goodall ha notato che gli animali facevano uso di particolari rametti staccati dagli alberi e privati delle foglie per pescare le termiti dai buchi di un termitaio.
La martire dei gorilla
Dian Fossey nasce a San Francisco e nel 1966 si trasferisce in Ruanda dove nelle foreste del Virunga vive in una tenda e passa gran parte del tempo ad osservare i gorilla. Comprende che questi animali stringono forti legami famigliari, accudiscono e proteggono i propri cuccioli. I gorilla, con il passare del tempo accettano la sua presenza tanto che la studiosa riesce ad identificarli tramite l’impronta nasale, le narici e le pieghe trasversali del naso. Fossey contrasta con ogni mezzo il bracconaggio che catturava i piccoli per cederli agli zoo europei e uccideva gli adulti per vendere teste e arti come trofei. L’omicidio della studiosa, avvenuto nel 1985, non è stato risolto: esecutori e mandanti non hanno ancora un nome.
La madre degli oranghi
Biruté Galdikas nasce in Germania nel 1946 ma vive e studia in Canada. Grazie ai finanziamenti della National Geographic, la studiosa si stabilisce con il marito nel Borneo per osservare gli oranghi. Prima di lei solo un ricercatore, un uomo di nome Wallace, aveva incontrato questi animali. Nel 1971 la Galdikas fonda un centro per gli orfani di orango poiché la guerra dell’olio di palma lasciava un alto numero di piccoli senza genitori. Le osservazioni della studiosa hanno evidenziato che condividiamo con questi animali non solo l’andatura bipede e l’uso degli attrezzi, ma anche il linguaggio. Gli oranghi, infatti, riescono ad apprendere e comunicare facilmente con i segni. La Galdikas è tuttora vivente e lavora per scongiurare il pericolo di estinzione di questi animali.