Parla Luigi Bona, direttore del Museo del Fumetto di Milano
di Chiara Milani
“La sfida oggi é
essere di nuovo
capaci d’immaginare”
Sono tempi duri anche per i fumetti. Di recente, infatti, anche personaggi come Charlie Brown, Superman e Lupo Alberto sono infatti apparsi con la mascherina allo Spazio Wow, il Museo del Fumetto di Milano, di cui abbiamo intervistato il direttore, Luigi Bona.
Voi avevate davvero una fervente attività didattica fino a 12 mesi fa, praticamente con studenti i giovani ordine e grado che arrivano un po’ da tutta Italia, ma non vi siete arresi, corretto?
Sì, la scorsa estate abbiamo aperto anche attività sul posto, con il campus che contiamo di aprire anche quest’anno se tutto andrà bene e quindi contiamo di avere il pieno di ragazzi anche durante l’estate: siamo stati l’unico museo a poter fare una cosa del genere a Milano in quel periodo. Adesso online abbiamo corsi e soprattutto qualche laboratorio, pure con la Pimpa, perché ci rivolgiamo ai bambini piccoli, così come a studenti e adulti.
In attesa di potere tornare fisicamente nel vostro museo a fare questi laboratori, mi chiedo: quanto è facile o difficile insegnare ai bambini, ma anche ai ragazzi più grandi, l’arte del fumetto tramite uno schermo?
Tramite lo schermo molto difficile, dal vivo è fantastico perché i bambini sono dei fumettisti naturali: disegnano prima ancora di imparare a leggere e scrivere. Hanno la creatività dentro. Con lo schermo è molto più complicato: qualcuno sta purtroppo imparando con la scuola a usare questo strumento e le scuole ci stanno chiedendo di fare attività con loro online. Quindi, qualcosa riusciamo a fare, ma è molto difficile: abbiamo insegnanti professionisti molto gravi che riescono a fare anche questo, ma aspettiamo tutti di poterli anche dal vivo.
I bambini dunque sono dei fumettisti naturali, ma secondo lei dallo sbarco della luna la nostra capacità d’immaginare è diminuita e ciò si vedrebbe proprio anche nei disegni dei bambini… vuole spiegare meglio che cosa intende dire?
Sì, è una cosa che abbiamo verificato facendo una mostra sul futuro immaginato: ci siamo accorti che, così come l’immaginazione del futuro è cominciata con la comunicazione, quindi in realtà a metà dell’Ottocento, perché prima non esisteva quasi, e si è sviluppata tantissimo in crescendo fino agli anni Quaranta e Cinquanta, quando sognavamo tutti un futuro con i razzi spaziali per volare da una casa all’altra, poi con l’allunaggio siamo arrivati in cima a una curva e poi è iniziata la parabola discendente, che ha continuato e oggi noi stessi non possiamo immaginare che cosa faremo tra un anno, un mese o talvolta persino una settimana e adesso per via della pandemia è peggio ancora. Per i bambini questa è una tragedia incredibile, per cui riescono a vedere quello che hanno intorno, a raccontare quello che hanno intorno, ma lo sforzo per immaginare un futuro o che cosa faranno da grandi o cosa fare domani dei luoghi intorno a loro è in qualche modo quasi impossibile: una cosa veramente pericolosa e tragica. Forse la più grossa tragedia di questa pandemia.
Questa è una riflessione molto interessante. Peraltro, l’Italia ha una tradizione gloriosa nel fumetto, nonostante tutto…
Assolutamente sì. Gli autori italiani sono per maggiori produttori del mondo. Lavorano ahimè purtroppo soprattutto per l’estero: Stati Uniti, Francia, persino il Giappone. Sono autori di una vivacità, una creatività enorme. Basti pensare che le storie di Topolino sono in grandissima parte prodotte qui. Storie per bambini, fantasy o opere letterarie stupende. Per non parlare di grandi case di produzione che riguardano i cartoni animati e che sono venute a lavorare qui da noi, dove il successo di Carosello rimane indimenticabile.