La scuola post Covid

di Andrea Mallamo

Cristina Boracchi, dirigente scolastica del liceo Crespi di Busto Arsizio, parla dell’idea di allungare il calendario scolastico e difende la Didattica a distanza: “E cambiato il modo d’insegnare e non tutto va buttato”

di Chiara Milani

Stop alle classi pollaio, avanti i professori “ben formati”. Così la scuola dovrebbe presentarsi alla prima campanella post Covid secondo Cristina Boracchi, dirigente scolastica del liceo Crespi di Busto Arsizio, ormai da tempo considerato uno dei migliori Classici in Italia, punto di riferimento provinciale per numerosi progetti, ma anche regionale per gli esami di Stato e nazionale le novità diramate dal ministero. Ecco perché ci siamo rivolti a lei a seguito del dibattito suscitato dalla proposta del presidente del Consiglio, Mario Draghi, di prolungare il calendario scolastico per via della Dad, ossia la didattica a distanza.

Lei cosa ne pensa dell’idea recuperare le ore di dad posticipando le vacanze?

Naturalmente esprimo un giudizio personale, però, alla luce di una lettura del territorio, anche del mio istituto, vorrei innanzitutto sfatare il fatto che la scuola sia stata chiusa, perché non è stato un negozio che ha chiuso, come nel lockdown è successo agli esercizi. La scuola non ha mai chiuso, è sempre stata aperta perché abbiamo sempre erogato le lezioni e tutte le lezioni, non soltanto in parte e non soltanto assegnando compiti pomeridiani da fare ragazzi. Quindi, le elezioni sono state fatte sempre, il più possibile in presenza, con anche, fin dall’anno scorso, il recupero delle competenze. Non a caso le scuole hanno riaperto con le lezioni dal primo di settembre, 15 giorni prima dell’ordinario inizio della scuola proprio per i ragazzi che avevano gap formativi e rispetto ai quali occorreva operare un riallineamento di competenze e di conoscenze. Voglio anche sottolineare il fatto che la Dad, benché emergenziale, non ha prodotto danni, Con me si schierano anche pensatori importanti come Massimo Recalcati, che continua a sottolineare come la didattica a distanza non sia stato soltanto un momento nel quale abbiamo colmato il vuoto esistenziale dei ragazzi, dando loro un ritmo, un senso, una quotidianità di vita, ma anche davvero il passaggio di conoscenza e competenze è avvenuto. Certo, alcune competenze sono state meglio esercitate di altri. Ad esempio, per le lingue straniere è evidente che la presenzia nel dialogo comporta ben altre possibilità e certamente negli istituti professionali, laddove ci sono i laboratori che costituiscono un blocco forte. Meno ai licei. Inoltre, c’è stato il distanziamento fisico dei ragazzi, ma non quello sociale perché le scuole hanno fatto di tutto: corsi di recupero e attività pomeridiani, con attività come addirittura teatro o corale. E poi i sussidi psicologici per i ragazzi, i genitori e i docenti. Perché non dimentichiamo che anche noi siamo persone e la fatica dell’insegnare a distanza è stata davvero forte, ma è una fatica che ha dato soddisfazioni, perché abbiamo visto che i ragazzi si sono impegnati qui. Davvero dovremo entrare nella logica della singola scuola, non si può generalizzare. Ci sono scuole dove la didattica ha funzionato bene e posso dirlo, nella mai scuola è stato così, mentre in altre effettivamente problemi ci sono stati. Quindi credo che l’autonomia scolastica debba essere giocata in questo momento storico per attivare una propositività per il futuro.

Mentre lei parlava mi domandavo proprio se in tutte le scuole la Dad fosse funzionata così come lei la stava descrivendo. Peraltro so che in qualche modo ha cercato di esportare nella viicna provincia di Milano il modello del Crespi, che a quanto pare l’ha soddisfatta, facendo da facilitatrice per un progetto. Vero?

Sì, faccio una premessa noi abbiamo qui il Classico, Linguistico, ma anche le Scienze umane e sono tre ordinamenti diversi, anche se racchiudono un polo umanistico, in realtà però anche l’utenza è diversa. Quindi la riflessione che ho fatto riguarda tipologie di utenze molto diverse: da chi ha già una motivazione forte allo studio a chi magari è un pochino più in difficoltà. Quindi faccio una lettura molto globale. Però sì, come dicevo prima, in questo momento difficile, davvero la tecnologia ha aiutato moltissimo. È quello che abbiamo sperimentato, grazie anche ai suggerimenti che ci sono arrivati dai nostri dirigenti provinciali. È stata la sperimentazione di una tecnologia integrata della Elmec, un’azienda del Varesotto, che ha sostenuto il nostro bisogno anche con altre donazioni importanti alle scuole superi della provincia di Varese: questa tecnologia permette a chi è a casa non solo di ascoltare o vedere quello che succede in classe, ma proprio d’interagire in diretta. Di qui l’idea di proporre al Lions Club Rescaldina di fare la stessa scelta per 5 scuole dell’Alto Milanese. E così è stato fatto. È stato un acquisto importante che permette a queste scuole anche di fruirne non soltanto nell’aula magna ma proprio nelle classi.

Ma quali sono le prospettive della scuola?

Partiamo da una premessa che però è già una prospettiva. Allora la tecnologia cambiato il modo di fare scuola: l’ha cambiata molto e come dicevo non tutto va buttato. Anzi, io credo che il coronavirus comporti comunque l’utilizzo intelligente della tecnologia, anche perché ha permesso, nonostante il dramma che stiamo vivendo, un’accelerazione di competenze digitali per i docenti. E davvero mille corsi. In realtà i nativi non erano così tanto tali: abbiamo notato molto impaccio. Ma davvero questa accelerazione tecnologica ci ha aperto spiragli intelligenti sia in termini di modalità di erogazione, sia per esempio per i corsi pomeridiani. Se nel pomeriggio vogliamo insegnare giapponese o russo a un gruppo di studenti che lo desiderano, lo possiamo fare online senza trattenerli fino alle 17. Un’altra prospettiva interessante sicuramente è quella di una didattica che è cambiata perché dallo strumento si è passati ad un metodo diverso, che comporta anche modalità di trasmissione dei saperi diverse. Quindi c’è stato un ripensamento del modo di fare scuola, uscendo anche dalla sola frontalità. Poi davvero abbiamo bisogno non tanto di spazi, cioè di aule in più, ma abbiamo bisogno di capire come nelle attuali capienze possa starci un numero maggiore di classi, con un numero di studenti adeguato, perché non si può lavorare con gruppi di 30 persone se vogliamo veramente la qualità. Ciò però comporta anche risorse e investimenti pure sul piano dire politico-istituzionale, naturalmente perché significa più organico. E soprattutto abbiamo bisogno di docenti formati, e non soltanto che passano concorsi, ma che siano davvero ben formati.

GUARDA L’INTERVISTA

Articoli Correlati