Marco Introini, floral designer di Gallarate, riflette sul significato dato ad alcuni fiori nelle campagne contro i soprusi di genere, auspicando che dai semi piantati per ricordare le vittime di violenza germogli la speranza di un futuro in cui questi simboli di bellezza possano richiamare soltanto a sentimenti positivi
di Marco D. Introini
Le parole “violenza” e “fiori” nella stessa frase, già stridono, perché nemmeno il cervello riesce a mettere insieme le due cose: la violenza di genere è un crimine particolarmente spregevole, mentre il fiore nella natura delle cose invece è simbolo di bellezza ed amore incondizionato. Forse per questo alcune campagne nate per sostenere le donne vittime della violenza di genere usano il fiore come vessillo. Sappiamo che l’8 marzo, con la mimosa come simbolo, nasce per ricordare un crimine commesso in America in uno stabilimento dove vennero uccise le lavoratrici. Ma anche la campagna ”nemmeno con un fiore” nasce per sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti della violenza di genere.
Da Oriente a Occidente: dillo con un fiore
Non riesco bene a spiegarmi come mai nella nostra cultura il fiore, che in Oriente viene considerato la connessione fra ciò che è terreno ed il divino, venga adottato come simbolo a memoria di eventi negativi… Diciamo però che anche nella cultura occidentale, in passato al fiore venivano attribuiti significati ben precisi, rispetto alle emozioni che si volevano comunicare, come ben li catalogava Charlotte de Latour nel suo libro scritto all’inizio dell’Ottocento: quasi come fosse un linguaggio per una “corrispondenza d’amorosi sensi”, un po’ come è giusto che sia, ovvero messaggeri di gioia ed amore. Come non pensare a Violetta, il personaggio della Traviata di Verdi, a cui l’amato Alfredo dona una rosa per “riportarla quando sarà appassita”, a cui lei entusiasta risponde “oh ciel! Domani!”?
Fiori e panchine: il bisogno di simboli
E’ nella nostra natura pensare alle declinazioni positive del messaggio floreale, che quindi rimane lontanissimo anni luce dal concetto di violenza. Personalmente trovo una forzatura abbinare il fiore alla violenza: forse la nostra società ora ha più bisogno di simboli che in passato, per via del continuo bombardamento mediatico a cui siamo sottoposti, e la pigrizia nel non voler avvicinare a contenuti per certi aspetti impegnativi o magari scomodi. Certo è che la violenza di genere non dovrebbe proprio esistere, o meglio, non dovrebbe proprio esistere la violenza.
Fiori rossi e panchine rosse quindi, il 25 novembre, giornata che dal 1999 l’Onu con una propria risoluzione, ha dedicato a memoria del brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, attiviste politiche nella Repubblica Dominicana: un colore per non dimenticare.
Le sfumature opposte del colore della passione
I fiori utilizzati nella comunicazione di solito sono la rosa, il papavero, il tulipano sempre appunto rigorosamente rossi, questo significa che la valenza positiva del colore rosso che normalmente comunica amore e passione, viene sostituita dalla valenza negativa data dal colore del sangue, dalla passione intesa come sacrificio, il rosso come l’orrore del Macbeth di Shakespeare.
Seminiamo la speranza!
Eliminiamo dalla faccia della terra la violenza di genere, e torniamo a dare ai fiori la loro valenza positiva; andremo incontro ad un futuro migliore. Speriamo allora che dai semi piantati per ricordare le vittime di violenza germogli la speranza di un futuro in cui una rosa scarlatta possa – come sarebbe giusto – farci pensare all’amore e non al martirio di una donna.