Luca Borsa, di Busto Arsizio, intervista la collega Flaminia Brasini, che spiega perché le attività ludiche da tavolo possono essere fantastici strumenti educativi e comunicativi, oltre che di divertimento
di Luca Borsa
“Faccio giochi perché con essi si comunica, si usa la testa, si esce dagli schemi… e ci si diverte!”: assieme al compagno Virginio, Flaminia Brasini ha una cooperativa che fa educazione/formazione/comunicazione e crea attività ludiche e giochi da tavolo che, assicura, “se sono buone, sono anche fantastici strumenti educativi”
Come è il tuo approccio al mondo del gioco sia da game designer sia da educatrice?
Gioco da sempre (come tutti!) e non ho mai perso il contatto con la mia parte giocosa e fantasiosa. Inventarli è appassionante: devi mettere insieme elementi logico-matematici con altri narrativi (perché rappresentano universi e storie, ma hanno anche regole e meccaniche) per creare sistemi che permettano ad altri di vivere esperienze interessanti e coinvolgenti. È un po’ come fare cinema o teatro (e io in effetti proprio dal teatro vengo, per formazione). Usare giochi in contesti educativi offre un mare di possibilità, ma per me, soprattutto, significa mettere le persone che si trovano a fare formazione in condizione di sperimentare se stessi e scoprire le proprie potenzialità: mi sento una brava educatrice/formatrice quando qualcuno, dopo aver giocato con me, pronuncia la frase “Siamo stati bravissimi! Abbiamo fatto cose che non credevo proprio che avremmo saputo fare!”.
Qualche esperienza o progetto particolarmente significativo o emozionante?
Vedere i miei giochi giocati da molte persone mi piace, ma quel che mi piace di più è, attraverso il gioco, riuscire a dare voce a persone che avrebbero difficoltà a farsi sentire.
Nella storia della nostra cooperativa ConUnGioco abbiamo più volte coinvolto comunità di bambini o ragazzi (più raramente anche adulti) in percorsi che sono sfociati in mostre interattive (giocate, quindi!) per parlare di temi importanti per le persone con cui lavoravamo.
Faccio un esempio: dopo il terremoto del centro Italia abbiamo fatto giocare con noi diverse classi di scuole superiori di Ascoli sul tema della ricostruzione; dopo il percorso di gioco, i ragazzi hanno costruito una mostra per comunicare ad altri ragazzi e ai loro concittadini adulti il loro modo di pensare e desiderare una ricostruzione possibile. Giocando si attivano processi di elaborazione aperti, liberi, fuori dagli schemi e si riesce a far comunicare chiunque!
Quanto c’è di femminile nel gioco e come il mondo femminile reagisce?
Purtroppo il mondo del gioco è ancora più maschile che femminile: culturalmente siamo allontanate dal gioco (perché “ci fa perdere tempo”, perché la competizione è rappresentata come estranea al mondo femminile, perché ancora qualcuno racconta che certi giochi “non sono per femmine” o che qualcuno può essere incapace di giocare!). Ma qualcosa si muove. Ci sono molte più giocatrici di 10 anni fa e comincia ad esserci anche qualche autrice donna. Io ho grande fiducia e ci tengo molto. E come educatrice ed autrice faccio tutto quel che posso per dire a tutti, donne per prime (ebbene si!), che non esiste nessuno a cui non piace giocare, esistono solo persone che non hanno ancora trovato i loro giochi preferiti!
in foto: Flaminia Brasini