Vivere il cambiamento della morale e dei costumi narrando in modo alternativo alla cultura ufficiale: l’altro Chiara
di Filippo Brusa
«Il cambiamento della società italiana del dopoguerra è stato colto dalla penna che ha rivoluzionato la scrittura del secondo Novecento: Piero Chiara ha aperto una nuova via nel modo di narrare e, allo stesso tempo, ha fotografato nei suoi romanzi l’evoluzione di un mondo determinato a dimenticare le privazioni della guerra e proiettato, con dinamismo, verso un
edonismo liberatorio». A sostenerlo è Mauro della Porta Raffo, fedele discepolo ed erede della mentalità dello scrittore di Luino, che ha saputo tradurre in letteratura le pulsioni della borghesia di provincia, lanciata all’inseguimento dei piaceri con cui è possibile rendere migliore la vita.
Raffo, in che modo Chiara è “altro” rispetto agli scrittori del Novecento?
«Nella misura in cui ha saputo seppellire – comunque sempre con tutti gli onori e amandolo infinitamente – il romanzare ottocentesco, ancora ai suoi anni dominante, articolando finalmente della vita come vissuta nella trascurata, dimenticata provincia del «profondo Nord». Balzac diceva: “Se vuoi essere universale parla del tuo particolare”. Lui lo ha fatto rendendo protagonista dei suoi romanzi la gente comune, quella che conosceva realmente nella “sua” Luino degli anni Trenta e Quaranta. Giocatori di carte, scansafatiche, persone che si barcamenano, altri che se ne vanno all’estero e poi tornano indietro delusi… La necessità di mettere queste storie su pagina lo ha reso un abilissimo, scaltro ed efficace narratore. Stupendo e “altro” rispetto agli scrittori dell’epoca. Aveva viaggiato “nello stesso treno ma su un altro vagone”, come ebbe
a dire di sé sottolineando la propria particolarità con gli scrittori suoi contemporanei acclamati dalla critica.
Scrittori che superò tutti in vendite non appena improvvisamente pubblicò “Il piatto piange” e “La
spartizione”, dimostrando di essere lui il miglior narratore del secondo Novecento. L’osservatore più attento del mondo a lui, specie negli anni giovanili e di formazione, contemporaneo, le cui fatte e malefatte sapeva cogliere e raccontare all’infinito».
Perché non è stato amato dalla critica?
«Grandissimi critici come Carlo Bo hanno parlato sempre benissimo di lui. La critica che teneva in mano i giornali oppure gestiva l’organizzazione televisiva, pur dandogli necessariamente qualche spazio, lo teneva comunque in disparte. Chiara era impegnato in politica, con il Partito Liberale, e questo non piaceva a molti critici. Altri non sopportavano il suo successo ma chi l’ha detto che un bravo scrittore non deve vendere? Piero Chiara sapeva scrivere benissimo ma era capace anche di farsi leggere».
Oltre a testimoniare e a descrivere il costume della «società opulenta», Chiara ha raccontato, per primo,
il mutamento dei valori della morale del tempo per cui l’erotismo non era più un tabù. Ha pagato questo aspetto?
«Ai tempi, quello che scriveva forse poteva essere ritenuto scandaloso. Tanto è vero che quando pubblicò il “Piatto Piange”, monsignor Leber, direttore del Giornale del Popolo, lo chiamò per cessare la collaborazione con il quotidiano
ticinese. Chiara, che da giovane intrattenne rapporti con molte gentili signorine, tutte accondiscendenti alla sua corte,
raccontava di persone che avevano avventure con donne e di cosa facevano per realizzare questo loro sogno. Se Liala, celebre scrittrice, accompagnava i suoi personaggi fino alla porta della camera da letto, Chiara faceva capire che cosa
succedeva dall’altra parte».