La legnanese Silvia Cibaldi appartiene alla generazione che ha fatto la “risoluzione rosa” nel mondo dell’arte: una storia di attivismo femminista da Varese alla Biennale di Venezia, raccontata fino all’8 marzo all’Università dell’Insubria: un’eredità morale per figlia e due nipoti
di Elisabetta Farioli
Donna tutto si fa per te… recitava il ritornello di una canzone dello storico Quartetto Cetra, sul finire degli anni Cinquanta. Ma, come commenta sorridendo l’artista legnanese Silvia Cibaldi, “non è così. Anzi, per le donne non si fa abbastanza”. Soprattutto quando si parla della figura femminile, lontana da quei ruoli spesso attribuitigli come il tanto famoso, quanto irritante, “angelo del focolare”. La riflessione di Silvia – madre di una figlia che l’ha resa nonna di due nipoti – infatti si riferisce a un “mondo” che vive e ben conosce in tutte le spigolature e difficoltà: quello dell’arte, da sempre considerato un universo maschile.
Ricordando la rivoluzione rosa
Sono passati secoli prima che la donna potesse superare e rompere quel muro di scetticismo, pregiudizi e giudizi che non le consentivano di abbattere gabbie sociali e schemi mentali dove il connubio “donna e artista” fosse impossibile o, peggio inimmaginabile. Come ricorda Cibali: “Penso a quando con il gruppo Immagine di Varese ho esposto, nel 1978, alla Biennale di Venezia. Allora ci si doveva creare spazio con i denti e farsi avanti a spintoni per farsi accettare. Adesso come artiste donne, un pochino di più siamo riconosciute così anche il nostro lavoro. E’ stata dura…”. Eppure, a novembre 2023, quella stessa mostra sulla “rivoluzione rosa” degli anni Settanta è stata inaugurata all’Università dell’Insubria a Varese, negli spazi del Rettorato, dove sarà visitabile fino all’8 marzo.
Nelle tue opere spesso ti ispiri alla donna.
In passato ho realizzato una serie di disegni sulla famiglia con atteggiamento critico nei confronti di chi la considera in modo che a me non piace, soprattutto nei confronti della figura della madre, relegata ai soliti ruoli ben precisi. La donna può creare arte e altro, procreare non deve essere l’unico scopo della sua vita. Quello che non ho mai sopportato e che mi dava molto fastidio erano quei commenti tipo “dipingi come un uomo”, forse pensando di farmi un complimento o addirittura piacere. No, io avevo la forza di una donna che si esprimeva e si esprime con la sua intensità. Non è necessaria una contrapposizione tra maschile e femminile.
Opere come le Albere e i kimono, quelle più recenti insomma, sono sicuramente meno polemiche delle precedenti e ricche di spiritualità…
Racconto storie legate alla ricchezza interiore della donna. L’attenzione all’universo femminile rimane al centro della mia ricerca che negli anni assume una profonda spiritualità, con simboli, richiami ancestrali, suggestioni ispirate ad antiche tradizioni. Gli anni “caldi” delle contestazioni sono passati e tanti ostacoli superati così come anch’io sono cambiata.
Ecco allora che quel fermento prende corpo nei rami che guardano all’infinito delle Albere, nei kimono che l’artista realizza intrecciando fili e stoffe diverse. Abiti nobili e preziosi non da indossare, ma da dedicare a tutte quelle donne alle quali viene tolta la possibilità di “vestire” il rispetto dell’essere umano.