Giulio Carcano, professore ordinario di Chirurgia generale e direttore del Dipartimento di Medicina e innovazione tecnologica dell’Università degli Studi dell’Insubria, ci spiega l’impatto dell’informatica sulla salute di ognuno di noi
“Dal concetto di studi multicentrici si è passati a quelli di Global Collaborative Group”
di Giulio Carcano
L’essere umano è estremamente complesso: sono oltre 3 miliardi le coppie di basi nucleotidiche che costituiscono i singoli “caratteri” del codice, nel quale è racchiusa l’informazione necessaria per renderci unici.
Un essere assai complesso
È evidente che conoscere a fondo un essere così complesso e il suo “immergersi” nel mondo che lo circonda richiede una grande quantità d’informazioni, quantità che aumenta esponenzialmente man mano che l’indagine si sposta dal globale al particolare. Pertanto, la scienza biologica e la scienza medica di necessità si fondano ab initio su Big Data.
Dal particolare al generale
Agli albori gli strumenti della tecnica dettavano il limite al volume dei dati acquisibili, conservabili e rielaborabili in maniera efficiente e la statistica era fondamentale per definire un campione che fosse “rappresentativo” dell’intera popolazione in esame.
Il percorso del processo gnoseologico era quindi prevalentemente dal particolare al generale: passaggio chiave di ogni singola ricerca medica era la verifica se la nuova acquisizione ottenuta dal singolo caso o da un gruppo di casi fosse poi utile per l’intera popolazione di appartenenza.
Dall’Abc dell’informatica a oggi
Come tutti sappiamo, il mondo è poi cambiato in ogni campo con l’avvento della tecnica. Abc, acronimo con il quale è noto il primo calcolatore elettronico costruito negli anni Quaranta, era in grado di effettuare all’incirca 30 addizioni e sottrazioni al secondo. Questi numeri, che oggi fanno sorridere a fronte delle capacità di calcolo del più piccolo dei moderni Pc, furono di per sé sufficienti allo scopo e alla svolta. E non era che l’inizio.
In quegli anni cruciali per l’informatica anche la biologia faceva passi da gigante: nel 1953 sulla rivista scientifica Nature apparve l’articolo in cui Watson e Crick descrivevano il Dna come oggi lo conosciamo.
Dalla popolazione al paziente
Nella seconda metà del secolo, i “dati” di conoscenza biomedica sono enormemente aumentati, così come la possibilità di acquisirli, conservarli ed elaborarli.
Oggi, per l’avanzamento della conoscenza dobbiamo necessariamente dare riferimento ai cosiddetti “megadati”. In ambito biomedico, il processo gnoseologico ha invertito la rotta e va ora dal tutto verso il singolo: tutto lo si pensa sempre più ritagliato sul singolo paziente piuttosto che sull’intera popolazione.
La responsabilità di estrarre l’informazione da una siffatta mole di dati non è più solo compito dei test statistici classici, ma di un’intelligenza artificiale che apprende, ripensa e risponde alle domande che lo scienziato di volta in volta pone.
Nel bene e nel male
Le possibilità di scambio istantaneo delle informazioni hanno amplificato il tutto. Dal concetto di studi multicentrici si è passati a quelli di Global Collaborative Group, ai quali tutti i clinici del pianeta hanno avuto la possibilità di aderire. La migliore evidenza di ciò non può che essere la recente pandemia: l’attimo dopo il click, il mondo intero era a conoscenza della nuova scoperta e i dati del singolo gruppo di ricerca erano in automatico a disposizione di tutti, nel bene e nel male.