Il successo del turismo enogastronomico, che nel nostro Paese prende per la gola un po’ tutti, ha il sapore genuino delle tradizioni casalinghe che si tramandano di madre in figlia. Con l’aiuto del critico d’arte culinaria Jacopo Fontaneto, questo mese vi proponiamo un ghiotto viaggio alla scoperta del perché desiderare ancora le donne in cucina non voglia dire svilirle. Anzi…
di Jacopo Fontaneto
Sono franco: non riesco a immaginare una cucina emancipata da una presenza femminile. Troppo importante il ruolo che, storicamente, hanno rivestito e che ancor oggi tramandano. Il modello della cucina italiana poggia su due cardini: il tessuto fortemente regionalizzato di sapori, ingredienti e ricette il lavoro ingegnoso di nonne, cuoche, mamme e suore che, con fatica e intuizione, hanno saputo lavorare materie e tramandare il segreto dei fornelli, rigorosamente di madre in figlia o nel ristretto delle mura conventuali.
Un modello unico nel suo genere
Un modello ancor oggi presente e unico: mentre in Francia, ogni operaio risparmia duramente per potersi godere la cena in un ristorante gourmet almeno una volta l’anno, in Italia un lavoratore d’ogni estrazione sociale, anche il più ricco, sogna la cucina di mamma che rintraccia nel rassicurante pranzo in trattoria. E’ la ricerca del cuore, della genuinità, dei sapori semplici contrapposto al mito della nobilità: la stessa cucina italiana deriva da un’agricoltura schietta, dura e popolare, molto diversa da quella francese che, nei secoli passati, respirava l’aura mistica delle abbazie intorno a cui si raccoglievano i campi: è particolarmente efficace l’esempio dei formaggi, dove il mito transalpino si infrange contro l’indiscutibile primato di biodiversità casearia italiana. E a creare quei formaggi furono proprio le donne-contadine-mamme che, nel loro ciclo di vita quotidiano, dovevano occuparsi della stalla, dei figli, degli anziani, della mungitura, dell’orto, del tessere e del cucire: difficile immaginare un ruolo più centrale e matriarcale, senza il quale ogni famiglia sarebbe crollata. Ebbene quelle donne dovevano fare anche il formaggio, ed era un lavoro difficile dove mettevano un ingegno non comune, padroneggiando le cagliate da reimpastare e controllandone lo sviluppo batterico con la forza dell’esperienza, completamente a digiuno da ogni nozione di moderna microbiologia.
Una passione contagiosa
Il mio lavoro di critico gastronomico nasce da una passione per il cibo in cui le donne hanno avuto un’importanza imprescindibile. Nonna Lucia, che non c’è più, è stata la prima e più incisiva influencer: a quarant’anni di distanza ricordo ancora il sapore unico del ragù con cui condiva la pastasciutta che mi attendeva al ritorno da scuola. O i bolliti, gli umidi, il coniglio alla cacciatora. E’ forse per la voglia di ritrovare di quei sapori perduti che mi ritrovo a girovagare, come in un perpetuo girone dantesco, alla ricerca di quel gusto impossibile. Non posso immaginare una vita senza una donna che cucini, e cucini bene. E non si tratta di separazione o limitazione di ruoli.
Il mattarello, simbolo del potere
Paola, la mia compagna, ha una laurea in fisica e dirige un’azienda nel campo delle nanotecnologie: ciò non le impedisce di trascorrere mattinate a tirare e tagliare la pasta a mano per far felici le decine di amici che ogni mese siedono alla tavola di casa, e quando ha tra le mani il suo buon metro di mattarello fa paura. Perché è brava e perché, con quell’arma impropria, ogni contestazione diventa impossibile.
Il mattarello è il simbolo del potere e quello esercitato da una donna in cucina è assoluto: Marisa, suocera-facente-funzione della mia famiglia moderna, la governa come un generale. E’ la depositaria autentica delle più antiche ricette di una memoria antica di secoli, è la solista della miglior lasagna e di polpette al sugo impeccabili e, nella sua cucina, non esiste un pacco di pasta comprato al supermercato. Ma non si sgarra, e a tavola si sta come nei ranghi di un battaglione che monta il piantone. Ricordo, nei miei occhi di bambino, la nonna come il vero pilastro di casa, depositaria esclusiva del dominio su un luogo, la cucina, che è allo stesso tempo una centrale di calcolo economico, una biblioteca di ricette tenute a mente, un luogo di condivisione e preghiera che, ogni giorno, fa rivivere la liturgia del pane spezzato.
Il futuro s’impasta con mani di donna
Il ruolo della donna nel mondo del cibo è, quindi, qualcosa di superiore al tempo e alla divisione dei ruoli: molto più forte di qualsiasi luogo comune rigirato al contrario o, peggio, di sottigliezze grammaticali dove, spesso, un improbabile asterisco finisce per nascondere una dignità storica di cui andare orgogliose. Un ruolo, soprattutto, da cui si genera ancora il futuro della nostra cucina italiana.
In foto: Dal progetto fotografico “Mani di donna “- Ph: Ponti Laura (Circolo Fotografico Acli Meda)