Il varesino Ernesto Masina, fratello di quell’Ettore già direttore del tg della Rai, ha scritto il suo primo libro a 76 anni. Dopo la presentazione la scorsa primavera in sala consiliare, il 12 ottobre alle 18 alla Coop di via Daverio parlerà della sua terza opera, “L’oro di Breno”, pubblicato dall’editore Macchione
di Chiara Milani
“Sono un vecchietto che, dopo aver letto tanto, a 76 anni, stanco d’imbattersi in romanzi con trame complicate, finali scontati e un’infinità di personaggi difficili da ricordare, soprattutto con un inizio di arterosclerosi, ha deciso di tentare di scrivere il libro che gli sarebbe piaciuto leggere”. Si presenta così Ernesto Masina, 83 anni e davvero non sentirli. Padre di due figlie, nonno di tre nipoti, una pensione arrivata in tarda età dopo una lunga attività come responsabile commerciale di un’azienda chimica, l’autore è al suo terzo volume pubblicato, ma sta già scrivendo il sesto. Dopo la tragicommedia L’orto fascista, inserita da La Stampa nel sito Lo scaffale (dove vengono ospitati solo i libri che non dovrebbero mancare in ogni biblioteca di famiglia), e il volume di altrettanto successo Gilberto Lunardon detto il Limena, a maggio ha pubblicato L’oro di Breno, sempre con Macchione editore. Un’opera già presentata la scorsa primavera in sala consiliare nella “sua” Varese e di cui parlerà di nuovo il 12 ottobre alle 18 alla Coop di via Daverio. “Poi spero che a novembre esca il mio quarto libro e a marzo il quinto, perché li ho già pronti”, annuncia l’ottuagenario scrittore con l’entusiasmo di un ragazzo.
Scrivere per vivere
“I miei coetanei aspettano di morire: io voglio continuare a vivere”, spiega Masina, che ambienta tutti i suoi libri nel paese della Valcamonica dei nonni materni, dove ha vissuto un paio d’anni in gioventù. Una fanciullezza non spensierata, la sua, come del resto quella di molti della stessa generazione. “Sono nato in Africa, poi siamo venuti a qui, perché mio padre fu il primo comandante del gruppo carabinieri di Varese”, racconta: “Quando è stato chiamato in guerra, i miei fratelli erano più grandi e quindi io non avevo molta compagnia, a parte lo scrittore varesino Morselli che, andando a fare la spesa in bici, si fermava a raccontarmi storie”. Poi ci sono stati altri trasferimenti per il lavoro del padre. Fino al ritorno a Varese.
Gli esordi con i necrologi
“La mia carriera di scrittore è iniziata con i necrologi”, ricorda. “Avevo sedici anni e, grazie a una provvidenziale colite, all’ultimo minuto non partecipai a una scalata sul Brenta che costò la vita ai miei amici. Rimasi così sconvolto che investii tutti i miei pochi risparmi in un necrologio così bello che l’allora direttore de La Prealpina mi chiamò e mi propose di aiutare i varesini a scriverli, perché a quei tempi il livello d’istruzione era così basso che toccava farlo ai giornalisti. Io accettai. La gente si sdebitava regalandomi chi le paste, chi una palla”. Poi però la brusca interruzione. “Un giorno venni chiamato da un uomo. Mi fu detto che gli amici del bar volevano dedicare a un defunto un bel necrologio, spiegando quanto fosse una brava persona. Io lo scrissi, ma l’indomani fui chiamato dal direttore del giornale, che era con il presunto morto, che in realtà era vivo ed era tutt’altro che un santo. Lui voleva il nome di chi mi aveva commissionato quello che si rivelò uno scherzo, ma io mi trincerai dietro il segreto professionale. Fu così che venni licenziato”, narra sorridendo.
Il lieto fine
Non poteva immaginare, allora, che sessant’anni dopo la vita lo avrebbe portato a pubblicare ben altre storie. Con ben altro successo.