Il rettore, Federico Visconti, spiega il successo dell’ateneo di Castellanza nelle classifiche su internazionalizzazione e placement: “C’è bisogno di scelte manageriali audaci”. Ai giovani l’invito a non fuggire in altre nazioni: “Il nostro è un Paese imballato, ma non d’imbecilli”. Il monito al ministro: “Attenzione alle università telematiche”
di Chiara Milani
Le classifiche sugli atenei la premiano. Dipingendola come un’università ad alto tasso di internazionalizzazione e dove i laureati trovano subito lavoro. Nell’era del rettore Federico Visconti, l’università Cattaneo di Castellanza non ha paura di cambiare. Per rimanere se stessa. Come ci spiega il “numero uno” della Liuc.
Qual è il segreto del successo del vostro ateneo?
Alcune azioni appartengono al Dna della Liuc, a partire dal posizionamento in un ex cotonificio. Altre sono più recenti, perché il mondo cambia velocemente e bisogna stargli dietro in modo tempestivo. Teniamo alta la sfida dell’internazionalizzazione. A ciò si aggiungono la modifica dell’offerta didattica, a breve e medio termine. Sulla ricerca c’era una certa tradizione, ma un po’ disordinata: abbiamo nominato un prorettore e avviato pubblicazioni sia scientifiche sia più divulgative. Inoltre abbiamo riposizionato l’attività di terza missione per aziende e manager dentro una Business school. Senza dimenticare 900 stage all’anno e il placement, che siamo stati i primi a sviluppare in Italia più di vent’anni fa: un’ottima invenzione, che abbiamo arricchito. E poi un po’ fortuna, oltre ai punti deboli di qualche grande leader. Basta guardare a 20 chilometri per vedere che cosa fanno i nostri concorrenti. Dobbiamo ricordare che siamo in un mercato competitivo.
Questa università è stata aperta su spinta degli industriali e a lungo si è sentito dire che i laureati trovassero posto in fretta perché andavano nell’azienda di papà. Quanto è pesata questa reputazione? Quanto è lontana e quanto invece influisce ancor oggi?
Io non c’ero, sono qui da tre anni. Può darsi che ci sia stata, l’Italia era meno europea. Erano tempi in cui si pensava che facendo professore a contratto un nome importante l’ateneo avrebbe avuto una sana spinta: magari oggi da rettore non lo rifarei. Però penso che ogni cosa vada letta anche nel suo contesto storico. Immagino che oggi da noi ci sia ancora qualche figlio d’imprenditore che vada a lavorare nell’azienda di famiglia, ma non credo che ora sia un dato rilevante, anche perché abbiamo solo il 40% di ragazzi del nostro territorio.
Settembre è periodo d’immatricolazioni: qualche consiglio per la scelta dell’università per trovare poi lavoro?
Direi al nonno: quando tuo nipote ha 16 anni, digli di iniziare a pensare che cosa vuol fare da grande. Io credo che la definizione di un percorso di studi o lavoro esiga un’esperienza della scelta molto più diluita nel tempo. Il 70% dei ragazzi non ha ancora scelto che cosa fare mentre consegue la maturità. E’ un segno d’immaturità gravissimo, di cui siamo tutti responsabili. Un altro consiglio è di escludere subito ciò per cui non sono portati. Terzo: essere equilibrati sul discorso estero. C’è un andamento, che a me non piace tanto, che dice: questo è un Paese di rimbambiti, bisogna andare per forza in Inghilterra, come se l’erba del vicino fosse sempre più verde. Un conto è fare un’esperienza internazionale, un altro è che si abdichi tout court a modelli di altri Paese in nome di una mezza intelligentia e di mode del momento. Quindi soppeserei il discorso dell’internazionalizzazione come dentro un percorso formativo e non in quanto esaustivo. Probabilmente c’è una dimensione, che è un valore della Liuc, in cui i numeri più piccoli assicurano standard di servizio e prossimità dei docenti.
Se la chiamassero al Governo che cosa farebbe?
Per risolvere il problema della competitività del sistema universitario serve un’azione manageriale coraggiosa, che nel nostro piccolo si è attuata non attivando Giurispridenza per dare un senso di focalizzazione su Ingegneria gestionale ed Economia, che sono più le radici della Liuc. Mi dispiace tanto per studenti, docenti e laureati, ma quando bisogna decidere, bisogna farlo. Si metta al posto del ministro: ha un milione di dipendenti e non siamo in un Paese con una progettualità coraggiosa. Non invidio dunque chi deve assumersela. Eppure c’è bisogno di un cambiamento importante. Tre giovani su quattro infatti andrebbero all’estero a lavorare. E’ un Paese che ha un sacco di energie, di risorse intellettuali ancora di valore, ma è imballato, è concettualmente vecchio. E’ cambiato tutto così velocemente e forse c’è stato qualche errore di resistenza nostra. Ciò detto, se fossi al ministero un pochino di più la lente sulle università telematiche la metterei, perché secondo me competono con regole un po’ diverse dalle nostre. E poi l’altra idea che sta venendo avanti è che uno possa anche non studiare, diventando startupper in pochi mesi o seguendo i corsi online di atenei stranieri. Ecco perché credo che l’esperienza universitaria, non il pezzo di carta, sia a maggior ragione oggi un valore.
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Dopo il diploma
“L’idea poteva starci, ma ho avuto la sensazione fosse più un’operazione da make up”. Così il rettore Visconti liquida il discorso sulle università professionalizzanti. Mentre sull’istruzione tecnica superiore commenta: “Credo abbia senso. Noi seguiamo con attenzione la questione, in modo selettivo: abbiamo 3-4 partner”.
Notte dei ricercatori all’i-FAB
L’appuntamento è alle 18 di venerdì 28 settembre per un aperitivo 4.0 nel laboratorio i-FAB: “Un luogo dove continueremo a investire, consolidando il fronte d’ingegneria gestionale legato alla fabbrica che cambia, ma anche per gli studenti di Economia, che faranno un corso lì dentro”, spiega il rettore della Liuc