Anna Gervasoni, direttore del centro sulla finanza per lo sviluppo e l’innovazione dell’Università Cattaneo di Castellanza, parla della crescita di questo strumento per finanziare le Piccole e medie imprese
Il mercato del private equity presenta grandi opportunità per le aziende non quotate italiane e evidenzia negli ultimi tre anni significativi segnali di ripresa sia sul fronte della raccolta, sia su quello del numero di operazioni e, di conseguenza, del numero di aziende-target coinvolte.
L’Osservatorio Private Equity Monitor (Pem) attivo presso la Liuc – Università Cattaneo di Castellanza attesta come l’andamento positivo riscontrato nel 2016 non sia solo confermato nei primi tre trimestri del 2017, ma anzi sovraperformi rispetto ai livelli di attività dell’anno precedente. I 78 investimenti osservati nei primi nove mesi di quest’anno evidenziano due elementi di estremo interesse riguardo le principali tendenze del settore. Il primo è l’elevata attenzione dedicata, ormai costantemente, dagli investitori internazionali alle imprese del nostro Paese, determinando oltre il 60 per cento delle operazioni. Il secondo è la marcata polarizzazione degli investimenti, condotti in un’area geografica ancor più ristretta del “consueto” Nord Italia, che vede Lombardia (44 per cento delle operazioni) ed Emilia Romagna (33 per cento) quali regioni protagoniste assolute.
Perché questi dati rappresentano un segnale di interesse anche per le Pmi (Piccole e medie imprese) italiane? La risposta è rintracciabile nella definizione stessa di private equity, in quanto attività di investimento nel capitale di rischio di imprese non quotate, con l’intento di valorizzarle per avere una profittevole dismissione della partecipazione in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo. Perciò, coloro che operano nella gestione dei fondi non si basano su una semplice scommessa relativa alla previsione di crescita di un’azienda, ma si adoperano attivamente per ottenerla, fornendo all’azienda-target le competenze gestionali e la visione strategica del proprio team. Infatti, gli enti che operano in questo settore sono investitori istituzionali (società di gestione, quali Sgr o Sicaf), ovvero fondi di investimento che a loro volta raccolgono capitale principalmente da altri investitori istituzionali (come fondi assicurativi o fondi pensionistici) o family office. Perciò il management team del fondo è composto da professionisti del settore ed esperti finanziari che non si occupano esclusivamente di applicare la strategia di investimento del fondo nel valutare i progetti e il potenziale di crescita della azienda durante l’investimento iniziale, ma ne seguono costantemente e in maniera ravvicinata i progressi.
Dunque, gli investimenti in capitale di rischio si caratterizzano per questa duplice chiave di lettura: da un lato il supporto finanziario indirizzato ad ottenere l’obiettivo originario dell’operazione (piano di sviluppo, passaggio di proprietà o ristrutturazione), dall’altro la centralità della componente industriale, dalla quale l’operatore non può prescindere nell’ottica del raggiungimento della creazione di valore.